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Aggiornato: 19 giugno 2025


NARTICOFORO. Gerasto caro, accioché sappiate chi sia io, io son quello che ho commentato il Bellum grammaticale, la Priapeia di Virgilio; ridotte in compendio le Regole di Mancinello e del Valla; enucleati sensi profundissimi, reconditissimi e abstrusissimi di Prisciano; fatte postille e scòli alle Epistole di Cicerone: talché vòlito per ora virorum e per tutte le scole si parla di me.

GERASTO. Su, mano a' fatti, ché la buona volontá senza l'opere non val nulla. Entriamo in casa in quella camera oscura. ESSANDRO. Non posso adesso. GERASTO. Quando le donne non vogliono, dicono non possono. ESSANDRO. Or sapete che la padrona sta gelosa di noi e ci tien sempre gli occhi sopra? GERASTO. Tu dici bene; ma andiamo in questa camera vicina, ch'io ne ho la chiave.

ESSANDRO. Ho adesso quell'istesso animo, che ho avuto per lo passato, di fidarmi nella tua fede; mi parrebbe aver compita felicitá, se non ne facesse a te parte. PANURGO. Dite, ché forse ci troveremo rimedio. ESSANDRO. Gerasto... PANURGO. Che cosa Gerasto? ESSANDRO.... ha pur... PANURGO. Che cosa ave? ESSANDRO.... dato... PANURGO. Bastonate a voi, forse? ESSANDRO. Volesselo Iddio!

NARTICOFORO. Narticoforo e suo figlio sono in casa tua? GERASTO. Quante volte vuoi tu sentirlo? NARTICOFORO. Potrei vedergli io? GERASTO. Per vincer col vero la tua perfidia, vo' che gli veda. Olá, o di casa, fate venir Narticoforo e suo figlio fuori. Ti farò veder la mia veritá.

Dove si va, Fioretta mia, mio maggio fiorito? ESSANDRO. Per un servigio della padrona. GERASTO. Non ti partir, Fioretta mia: lascia che ti miri un poco, se a te non è discaro l'esser mirata; e lasciami sfogar cosí parlando teco, poiché non posso altro. Tu non sei fiore che nasci a tempo di primavera; ma a suo dispetto la primavera nasce dove tu sei.

PANTALEONE. Pues, no es menester poner mano á la dorlindana: con el puño solo, con un dedo, con un soplo, con un pelo de mis barbas, le haré más agujeros en lo cuerpo que no tiene un hervidero. Pero decidme, ¿esta mañana ha dicho la de mi tierra este tu enemigo? GERASTO. Non so qual sia questa di tua terra. PANTALEONE. Por causa mia han añadido á la: de Pantaleon.

NARTICOFORO. bene, non desidero saper altro se non se sète lui o me. PANURGO. Diavolo, fammi essere altro se non che io. GERASTO. Questo sappiamo bene; noi disiamo sapere voi chi sète. NARTICOFORO. E per questo vi dimandiamo: voi chi sète? PANURGO. Io son io, posso esser altro che io. Se tu sei me, io non posso esser io; e se io non son io, sarò un altro; e quello chi è o chi fu?

Niun fiore può paragonarsi con te, che porti i giacinti negli occhi e i gigli nelle carni, e parli rose e spiri gelsomini e fior di naranci. ESSANDRO. Dove avete lasciati i garofoli? GERASTO. Perché son troppo palesi in questi tuoi labrucci. E se Dio volesse far un re sovra i fiori, non eleggeria altro che te, tante sono le tue bellezze. ESSANDRO. Vo' partirmi. GERASTO. Férmati un altro poco.

Certo che sotto dura e ingiustissima legge nascemo noi povere donne, se lo marito ha la moglie brutta, se la cangia a sua voglia; e se la moglie fa qualche scappata, subito il coltello alla gola! GERASTO. L'ará portato un bel presente. ESSANDRO. Quel pendente che ha fra le gambe, deve essere il bel presente.

GERASTO. Ho maritata la tua padroncina. ESSANDRO. Con chi? GERASTO. Con un giovane romano, ricco, dotto e bellissimo. ESSANDRO. Chi è questo giovane cosí aventuroso? GERASTO. Cintio, figliuol di Narticoforo, maestro di scola dottissimo. Ci abbiam scritto tante volte che alfin siamo restati d'accordo della dote e d'ogni cosa. ESSANDRO. Come non n'avete fatto parola mai?

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