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Aggiornato: 19 giugno 2025


APOLLIONE. Son Apollione de Fregosi suo zio, che vo tre anni disperso per averne novella. GERASTO. Certo avete una nipote molto onorata e da bene! APOLLIONE. Tutto è per vostra cortesia, ché, stando in casa onorata come la vostra, stava sicuro che contagione di pessimi costumi non l'arrebbono corrotta.

Vengo in Roma, e per non esser costui un giorno andato alla scuola, promisi di batterlo: fuggì di casa mia tre anni sono, ne ho potuto piú saper novella; solo ho inteso che era qui in Napoli e che stava in casa di un medico detto Gerasto, vestito da fantesca. Io non posso imaginarmi altro, perché vi stii, se non per qualche trama amorosa, onde potrá facilmente capitar male.

E se per disgrazia dirai nulla di ciò che ti ho detto a Gerasto, guai a te! il pezzo maggior sará l'orecchia. NARTICOFORO. Mi partirò adesso adesso. ESSANDRO. Verremo insino a Roma ad ucciderti: non so io che abiti vicino al Culiseo? NARTICOFORO. Non certo: alla Rotonda, . ESSANDRO. Cosí prometti, fa' che l'attendi, se non..., misero te!

SANTINA. E tu dici prima che altri risponda. GERASTO. Hai detto? SANTINA. bene. GERASTO. Invano hai detto, perché l'ho maritata io prima che tu. SANTINA. Io l'ho maritata e dato la mia fede, posso contravenire al giuramento. GERASTO. A te non sta maritarla, ma al padron della casa. SANTINA. Impácciati tu di maschi, che a me tocca la cura delle femine.

PANURGO. Certo, Gerasto, che voi non pigliate la cosa per il suo verso. GERASTO. Che vuol dir che non piglio la cosa a verso? Tu non rispondi a proposito. PANURGO. Che volete che vi risponda se non quello che sempre vi ho detto? GERASTO. Che m'hai tu detto mai se non certe parole che l'una non attacca con l'altra? PANURGO. Certo non è la cosa come pensate, vi dico.

NEPITA fantesca ESSANDRO giovane, sotto abito e nome di Fioretta fantesca CLERIA giovane innamorata GERASTO vecchio PANURGO servo di Essandro FACIO dottor di legge ALESSIO giovane PELAMATTI servo SANTINA moglie di Gerasto MORFEO parasito GRANCHIO servo di Narticoforo NARTICOFORO pedante Speciale Capitan DANTE spagnuolo Capitan PANTALEONE spagnuolo APOLLIONE vecchio TOFANO servo.

GERASTO. Ah, furfanti! NARTICOFORO. Ah, poltronacci! PANTALEONE. ¡Teneos, teneos! GERASTO. Orsú, la rabbia l'abbiamo sfogata con costoro. NARTICOFORO. bene; ma io exoptava dilucidarmi del vostro fatto. GERASTO. Ecco, sia lodato Iddio, chi ci torrá d'ogni dubbio. NARTICOFORO. Ecco chi ne può dilucidar del tutto. Eccomi incappato nella rete che ho teso.

GERASTO. Oh, come piange! non deve aver urinato questa mattina, ché le donne quando vogliono lacrime in abondanza per ingannare alcuno, la mattina non urinano. È vergine, la poveretta, e pensa che quel fatto sia qualche gran cosa, almeno d'andarne un mese zoppa; ma dopo ne será piú contenta che mai. Le vergini, se le richiedi, arrossiscono, e stimano la vergogna nelle parole, no ne' fatti.

ESSANDRO. Questo , entrate e serratevi dietro bene, ché verrò or ora a ritrovarvi. GERASTO. Perché non adesso? ESSANDRO. Darò un'occhiatina per la casa, vedrò che facci la padrona, mi farò vedere, e me ne vengo. GERASTO. Bene. Io tra tanto me ne andrò volando per una facenda: chi arriva primo, aspetti. ESSANDRO. Benissimo. GERASTO. Non mi darai tu un'arra della tua bona volontá?

GERASTO. Parla: chi è costui? forse lo troverai piú presto. GRANCHIO. Gerasto medico. GERASTO. Ecco, l'hai trovato, non cercar piú. Tu chi sei? chi ti manda? che sei venuto a fare? GRANCHIO. Io son Granchio, servo di Narticoforo romano, che mi manda per correo innanzi, ché lo avisi come esso e Cintio suo figliuolo sono in Napoli e or se ne vengono a casa sua.

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