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Aggiornato: 28 maggio 2025


MORFEO. Ah, poltron asino, che m'hai cieco! se ti giungo! O viro probo, arrige aures a quel che dico. GERASTO. O son sordi o dormono. NARTICOFORO. Perché battete quel ostio con tanta veemenzia? GERASTO. Perché ho voglia d'entrare. NARTICOFORO. Voi dovete esser forastiero e l'arete presa in cambio.

Se non udiste voi da vicino, o come va che lo sentii io da lontano? Voi m'incominciate a doventare di quelli, di cui dice il Vangelo: habeant aures, et non audiant. In questa ecco udirsi squillante il tintinno del campanello, come agitato da persona spazientita di aspettare.

Rememora che quando pervenesti a Salerno non v'era giovine d'intelletto piú terso di indole piú elegante di te. Sempre col Cantalicio e con lo Spicilegio alle mani; appena diceva: «arrige aures», che subito ti ponevi in ordine e aprivi le orecchie; non ti dava dettato cosí grande che non l'avessi capito e posto ben bene entro i meati dell'intelletto.

L'odioso ospite, compiacendosi del terrore che inspirava, continuò esultante in faccia: A me importa soltanto, che i miei figliuoli sieno morti; forse a voi potrebbe premere eziandio conoscere il modo col quale furono morti. Favete aures. Felice, ch'era giovane religioso, stava certa sera a recitare molto devotamente il rosario nella chiesa della Madonna del Pilastro.

Munito di queste istruzioni ad aures, il duca di Balbek giunse a Parigi. L'altitudine delle sue funzioni lo inebriava. Gli si avrebbe potuto augurare un poco più di penetrazione, uno spirito più pronto e più fino, un'istruzione più sostanziale, delle maniere più scelte, un'aria da più gran-signore. Ma, a parte ciò, e' non poteva negarsi che il duca non fosse bravamente attagliato alla sua parte.

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