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Un giorno ne farò le mie vendette. Ma perché usate meco piacevoli parole? devete aver bisogno di me. Tutta la notte v'ho inteso suspirare, non so se da amore o da umore. Ditemi, che avete? PIRINO. All'infermo piú noia l'aver a raccontare a ciascun la sua infirmitá, che l'istessa febre. Se lo sai meglio di me, perché farmelo dire?

GIACOMINO. Bisogna attendere alla battaglia che amor mi nel cuore con assalti piú atroci che ritrovar si possino. Non posso piú resistere, mi rendo vinto, sono abbattuto e morto. CAPPIO. Se sète morto, requiescat in pace, provedasi di sepoltura. GIACOMINO. Cappio, ti burli di me? CAPPIO. Giá cominciate a freneticar senza febre.

LECCARDO. Veramente da te si devriano tôrre le regole della medicina. Andamo a medicar presto, ché m'è salito addosso un appetito ferrigno, e tanta saliva mi scorre per la bocca che n'ho ingiottito piú de una carrafa. La medicina n'ha reinfrescato il dolor delle piaghe e m'ha mosso una febre alla gola che mi sento mancar l'anima.

168 Quivi Bardin di soma d'anni grave stava piangendo alla bara funèbre, che pel gran pianto ch'avea fatto in nave, dovrìa gli occhi aver pianti e le palpèbre. Chiamando il ciel crudel, le stelle prave, ruggia come un leon ch'abbia la febre. Le mani erano intanto empie e ribelle ai crin canuti e alla rugosa pelle.

Ché, quantunque un medico sappia benissimo la causa d'una febre putrida e acuta, non li sará facile il remedio, e piú volte con qualsivoglia difficultá non ve lo ritrova; e cosí saprá la causa d'una epilepsia e apoplesia e altre spezie d'una indisposizione di fegato e di stomaco, e cosí d'una ferita mortale, e non ve saprá ritrovare facile difficile remedio.

LELIA. Sète forse aspettata dal guardian di San Francesco? o pure andate a trovar fra Cipollone? CLEMENZIA. Doh! che te venga la febre ben ora! Che hai a cercar tu i fatti miei dov'io vo dov'io stia? che guardiano? che fra Cipollone? LELIA. Oh! Non v'adirate, mona Molto-mena-e-poco-fila. CLEMENZIA. Per certo, io conosco costui; e, non so dove, mi pare averlo veduto mille volte.

GIACOMINO. La febre amorosa mia è stata sempre continua e cosí ardente nel cuore che non mi lascia mai per un sol momento. CAPPIO. Forse son resuscitati gli amori di Salerno? GIACOMINO. Non son resuscitati, perché non moriro mai.

È la donna piena di varie voglie, non si sazia mai, facile a piegarsi; e la loro costanza è l'essere mobili e incostanti. FORCA. O poveri innamorati, che ferneticano senza febre!

SANTINA. Tu non sai chi dico io, eh? GERASTO. Ben fu grande la mia sventura aver te per moglie! che seccaggine, che febre, che inferno è questo? Che sia maladetto colui..., non lo voglio dire. SANTINA. Che si fiacchi il collo chi fu il primo a farne parola! GERASTO. Che fussi piú tosto morto che incorso in simil sciagura!

Ma io dubito che voi siate come colui che ha la febre al cervello, che vede una cosa per un'altra. Dice madonna Pandora ch'ella non vi conosce, che non ha ventre gonfio per pensiero; e voi dite che è vicina al parto. ERASTO. Pandora deve esser qualche porca come tu sei: vi sète accordati insieme per farmi cadere in odio Cintio.