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Dunque fia ver, che miserabil vegna Di Rodi il nome? e ch'Ottoman calpesti A suo pieno voler la nostra insegna? E l'ordine di noi tanto funesti? E che per me ne la miseria indegna Un avversario sol non si molesti? E perchè de' nemici alcun non cada, Divietato mi sia stringer la spada? Ah non la destra man dianzi ferita M'avesse stral ne la battaglia rea, Ma m'avesse quadrel tolta la vita.

Il sergente Morfini lombardo giovane di 18 anni con la mano squarciata da un colpo di baionetta, dopo messa un po' di fasciatura alla ferita, torna in battaglia. «Che fai tu qui?

Non si sa, ma fu per certo una prova sicura e lampante: perchè tutto l'amore cieco ed ardente che sentiva per suo marito, le si convertì in un freddo disprezzo. Non trovò per lui una scusa, si sentiva ferita a morte nel suo affetto e nel suo orgoglio di donna felice.

Per un momento si ricordò la prima volta che delirante, ferita, era discesa a precipizio le scale della signora Cesarina vagando per le vie insino a quella chiesa silenziosa. La sua vita si era spezzata quel giorno senza che ella avesse potuto piangere; ma adesso il suo ultimo desiderio era di allungarsi nel letto per chiudere gli occhi.

Il chirurgo che accompagnava Filippo le assicurò che la ferita del conte non era grave; Filippo e Clarice furono attorno alla giovane per confortarla; ma essa era così sbigottita, coi capelli sciolti e gli occhi dilatati dallo spavento, che il medico dovette occuparsi prima di lei che del suo ferito.

O figlio, io ti creai colla mia carne giovine, io ti nutrìi colle mie rosse vene, e la forza che per te mi mosse unica or regge le mie membra scarne. Arde in te la sostanza di mia vita, e tu con fibra e fibra ancor t’aggrappi a me, come nell’ora in cui gli strappi del tuo corpo al mio corpo eran ferita.

Il duca lo guardò un poco senza la menoma emozione: eppure aveva promesso a donna Livia di moderarsi, d'ingentilirsi! Poi avvolse il suo braccio nel fazzoletto prima, indi nel mantello; pensava che quella ferita gli servirebbe ad intenerir la duchessa, ed a non farsi rimproverare di troppa crudelt

Donna, l'onor de' i cui be' raggi ardenti m'infiamma 'l core e a ragionar m'invita, perchè sia nostra penna mal gradita, l'alto nostro sperar non si sgomenti. Rabbiosa invidia i velenosi denti adopra in noi mentre 'l mortal è in vita; ma sentirem sanarsi ogni ferita come diam luogo a le future genti.

Allora dovea cadere che stava per iscagliare la fatale ferita, allora... Pietoso cielo, dove dormia la tua giustizia quando all'infame attentato commise la mano! a che nol travolgesti nel nulla? in che t'ebbi io offeso... perchè di tanto mi perseguiti?... O se era segnato nefando lutto, perchè un colpo solo ad entrambi non troncava la vita? a che sorridermi propizio, e solo perchè più fatale seguisse la mia rovina, mentre rifiorìa la mia speranza, qui su questo petto stendermi trucidato colui per cui unicamente vivea? e quasi per saziare l'amorosa mia sete, darmi da bere il sangue delle sue vene?... Ahi sventura, sventura...

Ma è ignoto come si svelse dal core la sua passione, la sua tragedia non si conosce; il ferro infuocato con cui cicatrizzò la sua ferita, il coltello tagliente con cui gettò via una parte di stesso, non si sono ritrovati.