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Allora dovea cadere che stava per iscagliare la fatale ferita, allora... Pietoso cielo, dove dormia la tua giustizia quando all'infame attentato commise la mano! a che nol travolgesti nel nulla? in che t'ebbi io offeso... perchè di tanto mi perseguiti?... O se era segnato nefando lutto, perchè un colpo solo ad entrambi non troncava la vita? a che sorridermi propizio, e solo perchè più fatale seguisse la mia rovina, mentre rifiorìa la mia speranza, qui su questo petto stendermi trucidato colui per cui unicamente vivea? e quasi per saziare l'amorosa mia sete, darmi da bere il sangue delle sue vene?... Ahi sventura, sventura...

E quando la fanciulla seduta al pianoforte, cantando e accompagnandosi, cominciò colla voce calda di contralto: "Caro ideal.... torna a sorridermi ancora...." il Casalbara in estasi, gongolante, cominciò a cantare anche lui, colla vocetta tremula da pecora: "Ca-a-a-ro ideal.... Caa-a-ro ideal...." mentre col palmo della mano si faceva un po' di massaggio al ginocchio reumatizzato.

Il volto di Clelia non era presso a sorridermi." "Il sarcasmo di cui mi stordiva, ricadeva sopra di me medesimo.

Ebbene, la poveretta ha bisogno di muoversi, di veder la campagna, di sedersi sull'erba, di raccogliere le piccole margherite, di salutare la primavera che è così bella.... La nostra creatura sedersi sull'erba, raccogliere le piccole margherite!.... ma ti pare?... e avrei continuato nella mia meraviglia, se non avessi visto Clelia sorridermi collo stesso sorriso di prima.

Il Casalbara, diventato violetto, soffocava.... Era stata l'impressione del primo momento; poi ricominciò a respirare e ripigliò il canto, sebbene colla voce più tremula e più sottile: "Torna, caro ideal, torna un istante A sorridermi ancora...." Quando il Casalbara andò dalla Schönfeld, anche questa era appena alzata: fu ricevuto nella camera da letto, dove la cantante stava pettinandosi.

Egli tentò di trascinarmi in salotto o nello studio; ma io volli, a ogni costo, vedere Fausta prima che le sue sofferenze aumentassero. Era in piedi, appoggiata alla spalliera di una seggiola, pallida, col viso un po' contratto. Vedendomi entrare, si sforzò di sorridermi e mi stese una mano. Non è niente.... Sono forte! Fausta!... Fausta!... balbettai.

Tornato alla dimane, con una bella giornata di sole, ricominciai il mio lavoro. Il modello mi si dimostrava più amico, arrivava perfino a sorridermi. Quando rimisi la tela appoggiata al muro e stavo per licenziarmi, lui mi fece con la sottile vocina: Vulite 'o vasillo? Io gli detti un altro soldino. Questa volta ebbi due piccoli baci su tutte e due le guance. Mi volsi uscendo.

Il povero cuore del vecchio non aveva potuto resistere agli affanni della solitudine, e nella notte, poche ore dopo che gli fu portata via la sua compagna, s'era posto nel vedovo letto colla sicurezza di non vedere un altro mattino. Il cadaverico volto pareva sorridermi tristamente e dirmi che neppure la morte li aveva voluti divisi.

Ella mi stese la mano senza parlare, e volle sorridermi per supplire alla parola; ma le sue labbra tremavano in quel momento, ed i suoi occhi mi apparvero natanti in uno strato cristallino... Povero cuore di donna, tenero, generoso! Fulvia era commossa; ed io! Ah, non sapevo che desse tanto rimorso l'offendere il prossimo.

Mi voltai. Ella stava guardandomi col mento appoggiato alle mani incrociate; era accesa in volto ed aveva gli occhi gonfi. Mi baciai una mano poi vi soffiai sopra per mandarle il bacio. Ella volle sorridermi, ma le lagrime tornarono ad empirle gli occhi. Allora le dissi: Cantate, Fulvia; venite a cantare.