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, egregio signor presidente, io sono convinto che gli elettori di Monticelli, nel nominar me, lombardo, a deputato alla Camera, non hanno voluto fare altro che protestare della ferma adesione loro al principio d'unione che stringe i popoli dell'alta Italia in un popolo solo, guardiano e difensore guerriero de' confini dell'intera nazione: principio, questo, che è sempre stato il desiderio de' miei tanti anni d'esilio, perché tenuto da me sempre come il fondamento imprescindibile di quella libertá e di quella indipendenza che tutti vogliamo quanti siamo popoli di quest'Italia.

non mi celar chi fosti anzi la morte, ma dilmi, e dimmi s'i' vo bene al varco; e tue parole fier le nostre scorte>>. <<Lombardo fui, e fu' chiamato Marco; del mondo seppi, e quel valore amai al quale ha or ciascun disteso l'arco. Per montar su` dirittamente vai>>. Cosi` rispuose, e soggiunse: <<I' ti prego che per me prieghi quando su` sarai>>.

Una di queste ricorrenze si ebbe nel settembre del 1783: ne sappiamo qualche cosa perchè vi si recò un signore lombardo oramai noto ai nostri lettori, il Rezzonico, giunto allora per visitare la Sicilia. Sentiamo la sua relazione. Pranzammo in buona compagnia di circa 24 fra dame e cavalieri, nel palazzo del pubblico; ma il caldo era eccessivo.

Un'altra pagina e mezza! Oh, no! A tutto questo chiacchierio artificiale della donna nuda, delle onde del mare, dei santi appesi al muro, basta contrappone il chiacchierio vivo, sincero, meraviglioso della buona contadina che parlava non in dialetto "ma in italiano e con quell'accento mezzo emiliano e mezzo lombardo, pieno d'impropriet

Ella piangeva, serrandosi colle piccole braccia al collo del padre; sua madre piangeva reclinando il capo addolorato sulle spalle del marito: ma nulla valse a smuovere il signor Carlo dal fatto proposito. Abbandonò moglie e figliuola, ed ebbe la fortuna di essere uno dei primi a varcare il Ticino e calpestare il suolo lombardo. «Vedi stranezza del caso!

Damiano prese con i marinai che erano venuti ad accompagnare l’almirante, e con essi e con qualche selvaggio di buona voglia andò ad eseguire i comandi dell’almirante. Archibugio e cannone lombardo furono poco stante sul prato, davanti al cacìco Guacanagari.

Quel signore lombardo s'era informato di me per qualche tempo senza frutto; e come avea saputo che io mi era recato a Quartu a poca distanza da Cagliari, ci era venuto anch'esso. Scrissi subito a Raimondo, ma dopo quel tempo non ebbi più risposta. Così io giungeva a Milano coll'anima commossa; mi pareva d'accostarmi ad una buona amica che avessi abbandonato senza ragione, e mi tenesse il broncio.

Emilio De Marchi, in arte, era un verista, ciò che rettamente inteso vuol dire un manzoniano. Egli fu dei pochissimi fra i discendenti del grande lombardo a comprendere come non fosse un seguire il maestro l'abbandonarsi ad una morbosa mollezza di sentimenti e di stile, ma lo fosse bensì lo scrutare il vero ne' suoi più riposti avvolgimenti, per riprodurlo con un intento altamente morale.

Il salvato dalle onde manifestò alcuni segni di pazzia, e forse egli si gittò col proposito di raggiungere il Lombardo che veniva dietro il Piemonte; la freschezza del mare però tornandolo a più savi consigli, egli mostrossi espertissimo nuotatore lottando per raggiungere il palischermo che vogava alla di lui direzione.

Furono il giudice Nicolosi e il sindaco di Lercara che mi consigliarono a dirle, promettendomi la liberazione. Lo stesso fece il giudice Scandurra. Io ero solo, in segrete, e digiuno. Poi venne nel carcere il presidente Morena; mi fece dare da mangiare, e mi unì col Lombardo. Così, rassicurato anche dalle sue parole, feci quelle confessioni che mi suggerì egli stesso.