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La prima visita dell’almirante e dei suoi marinai fu alla chiesa principale della citt

Lo stesso Guacanagari, che sempre cercava di padroneggiare i moti dell’animo, non potè trattenersi dallo afferrare il braccio dell’almirante, come per cercare istintivamente un appoggio.

Mentre egli approdava, si sparavano in suo onore i cannoni della Santa Maria e della Nina. Egli rimontò in lettiga, i portatori si rimisero in moto, e la processione dei suoi sudditi si distribuì nell’ordine con cui era venuta. Non c’era altro di nuovo che i presenti dell’almirante, portati in gran pompa da due naturali, che camminavano davanti al lettighieri.

Due marinai stavano appoggiati al capo di banda, un po’ in disparte dai loro compagni, e ragionavano di cose vane, non tali da destare l’attenzione dell’almirante. Ma il tono è quello che fa la musica; e quei due cantavano in un tono che doveva far senso a messer Cristoforo Colombo. Parlavano, a farvela breve, in vernacolo genovese. Come mai due genovesi a bordo? Ed egli non ne sapeva nulla?

Anche laggiù, sull’Oceano, erano calme le vie. Il sole splendeva, senza arrostire i cervelli; l’aria era dolce, mitissima; un aprile di Andalusia, per usare una frase dell’Almirante, un aprile d’Andalusia, a cui non mancava che il canto del rosignuolo, per far l’illusione compiuta. Cristoforo Colombo ebbe sempre una gran tenerezza per il canto del rosignuolo.

Cosma e Damiano si erano piantati in prima fila, non per tener bordone ai rivoltosi, intendiamoci, ma per consentire con le parole e con gli atti ad ogni frase dell’almirante, e preparati, caso mai, a menar le mani in sua difesa. Ma per allora non fu mestieri; i rivoltosi non erano andati più avanti; la fermezza di Cristoforo Colombo da un lato, l’accenno alla lealt

Non era intenzione dell’almirante di far sosta alle Canarie, come a nessun’altra isola o costa di quei paraggi. Ma bisognava chinar la testa al destino, e seguitare i consigli della prudenza. Il giorno appresso, non era più questione di prudenza, ma di assoluta necessit

Il gesto dell’almirante, nell’offrirle quel dono, significava, che ella poteva adornarsene, mettendolo al collo.

Ma tutte le cortesie dell’almirante, se potevano temperare il rammarico del vecchio principe di Haiti, non bastavano a fargli dimenticare per un istante ciò ch’egli perdeva. Tolteomec sospirava, e i suoi occhi erano spesso bagnati di lagrime. In quei momenti, per altro, egli si voltava da un lato, perchè sua figlia non si avvedesse di nulla.

Insieme con le ceste di vimini, che erano confidate alle cure dei due interpetri, gli ambasciatori dell’almirante portavano un carico meno pesante, ma egualmente voluminoso, di utili notizie, raccolte a fatica, e forse non tutte dirittamente intese, sulle condizioni dei luoghi. Sapevano, per esempio, che in quell’isola, detta di Cuba, erano molti i villaggi, ognuno col suo re, detto cacìco; potevano riferire con certezza all’almirante che quei villaggi erano tutti, dal più al meno, come quello di Bohio, e che non era a sperare di trovarci il gran Cane, il Prete Janni, altri segni di dominio orientale, perle, oro, spezierie. Queste ricchezze, per altro, dovevano ritrovarsi a staia, molto più lungi di l