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Ci starai se crepassi, greco taccagno, ché la mi manda al negromante. Ma, se cosí risponde lo spirito, trionfa Fulvia. LIDIO femina. Misera e trista la fortuna di noi donne! E queste cose inanzi mi si parano perché io tanto piú cognosca e pianga il danno del mio esser donna. FANNIO. Io arei pure voluto intendere il tutto da costei; ché nocer non potea. LIDIO femina.

Ecco, t'ho detto chi sono, chi mi manda e che son venuto a fare. GERASTO. Tu sei un correo che corri molto tardi, ché sono arrivati prima essi che la nuova. GRANCHIO. Se avesse avuto cento piedi come un granchio, non arei potuto caminar cosí veloce, come ho fatto, per giunger presto. GERASTO. Io penso che come granchio arai caminato all'indietro.

arei pensato mai che la vostra venuta fosse stata accompagnata da tanta amaritudine. CONSTANZA. Figlio, non mi trafissero mai tanto i morsi della servitú, quanto or mi trafiggono i vostri dispiaceri.

LAMPRIDIO. Non arei potuto vederne piú chiaro segno, e per rendervi le debite grazie di tanta affezione mi mancano le parole: però vi priego che col vostro savio discorso consideriate quel tanto obligo che vi debbo e per natura e per debito, e facci Iddio che io viva tanto che possa dimostrarlovi. FILASTORGO. Fa' che ami la tua Olimpia, poiché ne hai tanto patito e fatto patire ad altri.

E arei offeso e tradito anche mio padre e zio e tutto il parentado insiememente per possedervi, tanto è la vostra bellezza e pregio delle dignissime vostre qualitadi, degne d'essere invidiate da tutte le donne; ma il disegno sortí contrario fine. Ma chi può contrastar con gli inevitabili accidenti della fortuna?

MALFATTO. Misser no: un somaro. PRUDENZIO. E quo casu lui? MALFATTO. Non ho comparato caso, messer no. Avete fame, neh vero? PRUDENZIO. Io arei per manco de darte un equo, se tu non taci, che disputare. Gran cosa che questa inclita cittá magnanima sia cosí sterile del consorzio de' viri probi e sia fertile delli invidiosi inimici delle sacrosante, buone e megliori e optime vertú!

FILIGENIO. Eccomi ad ogni vostro comando: ché colui che non servisse voi volentieri, non meritarebbe esser servito da niuna persona del mondo, perché voi potete e sapete servir gli amici vostri. ALESSANDRO. Se avessi saputo imaginarmi persona sufficiente piú di voi nel maneggio di questo mio negozio, arei fuggito darvi fastidio; non potendo altrimente, m'è forza a valermi del suo favore.

BALIA. Molto volentieri; ma siate destra che Cintio s'accorga di lei, pur ella dell'inganno. Signor Cintio, Dio vi dia ogni contento! CINTIA. Ne arei bisogno, signora Amasia mia padrona! E a voi doni Iddio ogni contento e felicitá; bisogna ch'io domandi come stiate ché vi veggio bellissima. AMASIO. L'affezion che mi portate vi fa parer cosí.

DON FLAMINIO. O che vi fussero o che non vi fussero, poco importa. LECCARDO. Dico che non vi erano; e dicean che son caldi per natura e che arebbono fatto male al fegato. DON FLAMINIO. Vorrei che ragionassi del fatto mio. LECCARDO. E del vostro fatto si ragiona: a voi tocca. Ché si vi fusser stati piccioni, non arei mangiato teste di capretti.

Ma che cose infami avete udite di lei? DON IGNAZIO. Quelle che non arei mai credute. EUFRANONE. Nelle cose degne e onorate si trapone sempre mordace lingua. DON IGNAZIO. Qui non mordace lingua ma gli occhi stessi furon testimoni del tutto. EUFRANONE. in cosa cosí lontana dall'esser di mia figliuola dovrebbe un par vostro creder agli occhi suoi, che ben spesso s'ingannano.