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TRINCA. E cosí arai la tua moglie desiderata. ATTILIO. Cose contrarie: è trovata la sorella e arai la moglie desiata. Cosí, Trinca, ti beffi del tuo padrone? TRINCA. Avete il torto a dirlo. Voi arete la vostra Sulpizia ed Erotico la sua Cleria. ATTILIO. Or ti beffi di l'uno e di l'altro. TRINCA. Io dico il vero all'uno e all'altro.

CAPPIO. Se non ti parti di qua, arai molte bastonate avantaggiate. GIACOCO. Se deve pensare ca a Napole se mpastorano li asini co le saucicce e vorria arrobbare; e se non me sparafonda denanze, sarrá buono zollato. SPAGNOLO. Si no me dais mis alforjas, os daré muchos palos en la cabeza. GIACOCO. Dice ca ce vole dare pale e muzzone di capezze d'asino. SPAGNOLO. Calla, que soys borrachos.

SANTINA. Che mia? or son tua moglie cara; poco innanzi era strega, macra, puzzolente: tu non arai a far piú meco. GERASTO. Io non dico questo, che tu abbi a distorti dal tuo proponimento; ma ascolta, e poi inteso il tutto, fammi castrare, ch'io starò piú paziente d'un agnello; e se non basti tu sola, chiama i parenti, gli amici, i vicini e Nepita ancora, ch'io perdono a tutti.

DON FLAMINIO. Leccardo mio, parla presto, non mi far cosí morire: come sará mia? LECCARDO. Manda a tôr diece caraffe di vino per inumidir il palato e la gola, che stanno cosí secchi che non ne può uscir la parola. DON FLAMINIO. Arai quanto vorrai, e venti e trenta; ma parla presto. LECCARDO.... la vostra Carizia è maritata.... DON FLAMINIO. Maritata? Tu sia il malvenuto con questa nuova!

Sappi che Dio ci ha fatto due orecchi per udire assai. FESSENIO. Ed una sol bocca per parlar poco. POLINICO. Non parlo teco. Ogni mal fresco agevolmente si leva; ma poi, invecchiato, non mai. Levati, dico, da questo tuo amore. LIDIO. Perché? POLINICO. Non ve arai mai se non tormenti. LIDIO. Perché? POLINICO. Oimè!

CRICCA. Non ve ne trattarò se prima non mi promettete la mancia. PANDOLFO. Siati promesso quanto saprai chiedermi, e di straordinario ancora. CRICCA. Voi vedete la mia cappa che ha solamente perduto il pelo, che tutta l'acqua del legno santo e della salsapariglia del Perú non bastaranno a restituircelo. PANDOLFO. Arai cappe, calze e calzoni, e quanto saprai chiedermi.

Voi potrete trattenervi in casa mia, finché vi torni commodo, se non volete tornar nella vostra: e trattarete con Costanza mia moglie, che oggi è gionta da Turchia, e ragionate de' signali, finché vada al notaio e veda il testamento di Filogono; ché ritrovandosi vero quanto dici, come so che è ben vero, ne arai tal mancia, che ne restarai sodisfatta.

Ti chiuderò ivi dentro e non ti farò uscir se non arai divorato e digesto il tutto; sederai sempre a tavola mia con maestá cesarea e ti saranno posti innanzi piatti di maccheroni di polpe di capponi, d'un pasto l'uno, sempre bocconi da svogliati. LECCARDO. Panimbolo, che mi consigliaresti per non esser appiccato? PANIMBOLO. Farti tagliar il collo prima. LECCARDO. Il malan che Dio ti dia!

DON FLAMINIO. Da cosí buona fortuna fo argumento che la cosa riuscirá assai netta. Conosco il capitano; ma come si sentirá beffato da te, ti fará una furia di bravate. LECCARDO. Ed io una furia di bastonate. DON FLAMINIO. Leccardo mio, come arò per tuo mezo conseguito il mio bene, arai sempre la gola piena e ornata di catene d'oro. LECCARDO. Purché non rieschino in qualche capestro!

MASTICA. Io ti voglio esser servo o che ti piaccia o no: se ben m'uccideste, per l'affezion che vi porto non potrei stare di non venire a casa vostra e mangiarmi in tavola vostra un pasticcio caldo caldo. TRASILOGO. Un malanno arai tu caldo caldo! SQUADRA. A te dice, Mastica. MASTICA. A tutti dui rispondo io, che ve lo cedo. TRASILOGO. Fa' che non venghi piú a mangiar con me. MASTICA. Perché?