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PANDOLFO. Che? sono un granchio o un topo che cerchi per i buchi per trovarmi? Dimmi presto, che buona nuova mi rechi? CRICCA. Vo' dartela a poco a poco acciò non scemiate per allegrezza. Il vignarolo... PANDOLFO. Che cosa? CRICCA. ... è giá fatto padron della casa;... PANDOLFO. Oh che allegrezza! parla presto. CRICCA. ... e vi manda a dire... PANDOLFO. Che cosa? non mi far morire.

GRANCHIO. Oh, come ha fatto bene a in non farsi battere e a me questa fatica di batterla, ché giá m'aveva sputato su le mani e stretto il pugno per gastigarla; e ne vien fuori una fantesca. NARTICOFORO. Ipsa est ipse ego, ipse tu ipsa illa. GRANCHIO. O bella giovane e da bene,... NEPITA. Sei ben un tristo tu. GRANCHIO.... di grazia, volgetevi a noi.

"Non ve la potrei mostrare," rispose la Falsa-Testuggine, "perchè vedete, son tutto d'un pezzo. E il Grifone non l'ha mai imparata." "Non ebbi tempo," rispose il Grifone: "ma studiai le lingue classiche, e bene. Ebbi per maestro un vecchio granchio, sapete." "Non andai mai da lui," disse la Falsa-Testuggine con un sospiro: "mi dissero che insegnava Catino, e Gretto."

GERASTO. Piú tosto nelle casse o nella credenza del padrone; ma granchio diventi io, se ti ci fo entrare. GRANCHIO. Son granchio, perché gracchio troppo. Me ne vado. GERASTO. Va', Granchio, corrier veloce mio che corri all'indietro. GRANCHIO. Resta in pace, Gerasto, che gabba altri, e voi devete essere il gabbato.

Il notaro s'accorse troppo tardi d'aver preso un bel granchio nel supporre che avrebbe ottenuto il suo intento più facilmente col metter paura a quel diavolo: tuttavia cercò di rimediare alla meglio. Si strinse nelle spalle.

NARTICOFORO. Dic mihi vel responde mihi: non m'hai tu invento nel luogo, illic status in loco ubi me dereliquisti, e con i coturni ancora? GRANCHIO. bene. NARTICOFORO. Igitur, ergo, dunque come era io in casa sua? alle premesse séguita giusta conclusione. GRANCHIO. Non so altro che dirvi.

PANURGO. Narticoforo caro, eccovi un poco di aceto, ungetevi le nari, togliete questa balla di profumi. NARTICOFORO. O mi Deus, o Iuppiter, che mostro è questo? mi incute terrore! PANURGO. Ecco, vedetela, miratela a vostra posta. GRANCHIO. A me ha fatto passar la voglia di mangiare. PANURGO. Camina qua, Cleria mia. MORFEO. No, no po... posso, pa... padre mio. PANURGO. Orsú, entra in casa.

GERASTO. Parla: chi è costui? forse lo troverai piú presto. GRANCHIO. Gerasto medico. GERASTO. Ecco, l'hai trovato, non cercar piú. Tu chi sei? chi ti manda? che sei venuto a fare? GRANCHIO. Io son Granchio, servo di Narticoforo romano, che mi manda per correo innanzi, ché lo avisi come esso e Cintio suo figliuolo sono in Napoli e or se ne vengono a casa sua.

32 Si tira i remi al petto, e tien le spalle volte alla parte ove discender vuole; a guisa che del mare o de la valle uscendo al lito, il salso granchio suole. Era ne l'ora che le chiome gialle la bella Aurora avea spiegate al Sole, mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso, non senza sdegno di Titon geloso.

ESSANDRO. Oimè, eccoli! quel primo è Granchio suo servo, quel vecchio deve essere Narticoforo. PANURGO. Morfeo, entra con Essandro e vèstiti da femina, attendi a quel che si dice e aiuta al bisogno. MORFEO. L'odor delle vivande ha tratto costui cosí presto; ma tu non n'assaggierai. NARTICOFORO maestro di scola, GRANCHIO.