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Il CANTU, nella Storia di cento anni, narra di Souwarow il quale di tanto in tanto visitava gl'infermi soldati, e li curava così: se gli parea che fingessero, ordinava li bastonassero; se li reputava ammalati davvero, faceva amministrare loro sale, aceto, e non ricordo quale altra sostanza. In questa guisa i suoi ospedali militari stavano sempre vuoti.

GIACOCO. Me penzo ca me s'è sbotato lo celevriello dintro la catarozzola, ca io no saccio se so isso o no, chi pozzo essere. Ma tu che vai sanzarianno a chest'ora per Napole? CAPPIO. Vostro figlio m'ha mandato al libraro per aver certi libri per studiare tutta la notte. GIACOCO. Che libri? CAPPIO. Barattolo ribaldo, Sal in aceto e Paolo te castre.

Egli non discorreva più; mangiava: aveva davanti un'oliera con olio, aceto, pepe e sale, e ghermito per le gambe un mazzo di fanciulli, attendeva a trinciarli con un coltellaccio a modo di sparagi... Oh Dio! costui è un Polifemo in progresso; invece di mangiare uomini nudi e crudi, se li divora vestiti e conditi! e stavo per venir meno.

Sollevò di peso la bambinaia, la portò sul canapè, le spruzzò la faccia con acqua e aceto; la baciò, la ribaciò, le riscaldò col fiato le manine diacce, e quando ritornò in , le giurò che non l'avrebbe mai abbandonata, che sarebbe stata come la sua mamma, e ad ogni costo le fece buttar giù un mezzo bicchierino di fernet puro, che, non essendoci la ragazzina abituata, le dette il travaglio di stomaco.

Volete che io vi faccia un po' d'acqua di salvia col miele.... o piuttosto un cotogno cotto nel vino.... o veramente lo pezzette di aceto sopra le tempie? Un senapismo.... un pediluvio.... un semicupio.... un cristeo? Ouf! soffiò il Curato, e disse poi: fate tutta questa roba per voi, Verdiana, se ne avete bisogno; sto bene, prima Dio, ed ecco i cento ducati... Ve' belli... belli!

PANURGO. Narticoforo caro, eccovi un poco di aceto, ungetevi le nari, togliete questa balla di profumi. NARTICOFORO. O mi Deus, o Iuppiter, che mostro è questo? mi incute terrore! PANURGO. Ecco, vedetela, miratela a vostra posta. GRANCHIO. A me ha fatto passar la voglia di mangiare. PANURGO. Camina qua, Cleria mia. MORFEO. No, no po... posso, pa... padre mio. PANURGO. Orsú, entra in casa.

Luce di mia vita, che al cor lasso di dolci pensieri fosti esca un tempo, altro or da me non vuoi che pianto e morte. È venuto omai l'ora. La ti do volentieri. FILENO. Aimè, padrone! CRISAULO. Io passo. Potrai dirle tu con vero ch'io son morto per lei. FILENO. Timaro, corri; porta aceto rosato e malvagía e confessioni. Aimè! ch'io tremo tutto, ché 'l padron si vien meno.

Il Marchese di Roccaforte ne intimava al Conte di Aceto per un volante, che egli diceva essergli stato tolto²⁰⁷. Quasichè esistesse una legge che vietasse di assumere ai proprî servigi un uomo stato una volta ai servigi altrui, ecco un grave fatto di sangue! ²⁰⁷ G. Lanza e Branciforti, Diario storico. Un giovane Cavaliere, che chiameremo D. Michele, licenziava un suo schiavo.

Come mi sento male!... apri un po' le finestre.... no, non aprirle.... Oh, Dio! Eugenio, spaventato, con la testa confusa, l'abbracciava, la baciava, piangeva. Che hai? che ti senti? Oh, Dio! se continua, muoio! E lui, fuori di , le versava acqua, aceto sulla testa, la slacciava, le faceva vento; ma il malessere si sviluppava con un crescendo spaventevole.

Tanto erano da ciò esacerbati gli animi, che qualunque cosa venisse dai Riformati era sospetta ai Cattolici: qualunque cosa procedesse dal vescovo o da Roma, si rifiutava dagli Evangelici, per buona che fosse, d'ogni vin dolce facendo un aceto arrabbiato. E mi faccia testimonio la riforma del calendario.