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Non posso altro prestarti se non la fame che ho adosso. Ma dammi da mangiare, e satollo vendimi ad una galea per quanto vaglio. PANURGO. Io non ho bisogno di danari, burlo teco. Io ho bisogno di un ladro, infame, giuntatore, assassino,... MORFEO. Questi sono i titoli dell'arte mia. PANURGO....tristo, cattivo, malizioso, astuto, truffatore,... MORFEO. Giá giá l'hai ritrovato.

Quel vasto e soffice strato a cui si saliva per un largo gradino che lo separava affatto dalla camera stessa in cui era collocato, quelle ampie cortine che scendevano in grandi pieghe a racchiuderlo da tre lati, lasciando anche dal quarto poco spazio alla luce, appartavano l’uomo dalle cose tutte e dai negozi della vita, celavano gli occhi suoi e lo spirito in una penombra particolare, su cui regnava la profonda quiete ristoratrice delle membra ed aleggiava Morfeo, il benefico nume.

E d'essere carabiniere e di trottare in corrispondenza da una stazione all'altra, sognò veramente un'ora dopo, quando il vino, facendo il suo effetto, lo ebbe dato per morto in braccio a Morfeo. Forse in quell'ora medesima, un vero carabiniere, disteso nel suo letticciuolo, sognava di aver vinto una quaderna al lotto, e di non portar più il pennacchio rosso e cilestro. Ahimè!

E sopra tutto il presto sia in capo alla lista, accioché venendo con quel mio compagno, non abbiamo ad aspettare ma subito porci a tavola. Oh, ben trovato il mio Panurgo galante, intendente della buccolica piú di tutti gli uomini del mondo! PANURGO. Ben venghi Morfeo! MORFEO. Sería da vero ben venuto, se venissi per un terzo a questo tuo cenino che apparecchi.

PANURGO....bugiardo, mentitore. MORFEO. Lascia dire a me: giotto, traditore, senza legge, senza fede, maldicente, scelerato, ingannatore. Di tutte queste cose ne ho fatto gran tempo professione e mercanzia e ne ho le botteghe e magazzini in questo petto. PANURGO. Ma essendo tu cosí cattivo, come potrò io fidarmi di te, che non l'attacchi a me ancora?

ESSANDRO. E l'altro mezzo assai peggio che vivo, anzi son morto tutto, e non ci è altro di vivo che il core, capace e pieno d'infiniti dolori. MORFEO. Siete forse stato in cucina, ché il fumo vi fa piangere? ESSANDRO. Voi ridete, ché non avete ancora inteso il vostro male. PANURGO. M'uccidete tacendo. ESSANDRO. Vuoi farmi un piacere, e te n'arò molto obligo? PANURGO. Voglio. ESSANDRO. Ammazzami.

ESSANDRO. Ad ogni cosa che ti domando: , , . Mi tratti da bestia, da asino. PANURGO. , , : te l'ho detto e stradetto mille volte. ESSANDRO. Oh, come orribil tempesta si è mutata in un subito in placida e tranquilla quiete! O felici miei pensieri, a che gloria giunti sète! O felice sole, che hai apportato il piú lieto giorno per me e ore cosí felici! PANURGO. Dove vai, Morfeo?

MORFEO. Queste non solo mi servono che, ponendole in bocca, mi contrafanno il viso; ma son composte di agli pisti, di galbano e di assa fetida che come il vecchio s'accosterá per ricevermi, gli farò rutti in faccia tanto puzzolenti che giudicherá essere insopportabili a soffrirsi da sua figlia. ESSANDRO. La lingua perché cosí di fuori, con gli occhi stralunati che pari un appiccato?

GERASTO. Io gli ordinarò or ora un serviggiale, e per oggi gli faremo far dieta, che gli sará utile, che per domani stará meglio. MORFEO. Padre ca... ca......aro, quella lupa che mi ha roso la ca... ca... carne, mi è rimasta in corpo, e mi tanta fame che non vorrei far altro che ma... mangiare e ca... ca... caminare. GERASTO. Voi dovete esser molto stracco del viaggio.

Vuoi che vada a toccarli il polso, se avesse la febre? PANURGO. La febre la devi aver tu nella gola per divorartelo; ma tu non assaggierai boccone se non prometti servirmi, anzi dopo servito. MORFEO. Ti servirò a quel che tu vuoi, e ti loderai dell'opra mia.