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Aggiornato: 21 giugno 2025


A prima giunta gli darò in faccia un «Quanquam te, Marce fili...». ESSANDRO. Ti conosco di tanto ingegno che saresti per aggirar altro capo che il suo. Ma chi fingerá Cintio? PANURGO. Ci sono il Capestro, il Truffa, e Morfeo parasito, che è il miglior di tutti, perché attaccandomi un fegadello al tallone, me lo strascinerò appresso dieci miglia, ed è poco conosciuto in questa terra.

Fuggí di qua e fai bene. SPEZIALE. Lásciatelo fare, e fai meglio. MORFEO. Eh, va' via! SPEZIALE. Eh, férmati! MORFEO. Levamiti dinanzi, dico. SPEZIALE. Io non ti sto innanzi ma dietro. MORFEO. Dici il vero, che dovunque mi volgo, mi ti trovo dietro; par che sii l'ombra mia. SPEZIALE. Tutto è per tuo bene. MORFEO. Vuoi tu un buon consiglio? Vattene via ben presto.

MORFEO. A sbo... sbu... sbosar la figlia di questo me... men... medico. NARTICOFORO. Di quanto hai detto, tu menti del tutto. MORFEO. Sbu, sbu. NARTICOFORO. Oimè, che putore! che cosa è questo che m'hai buttato in faccia? MORFEO. È ro... rotta la postema: è lo san... sangue e la mar... marcia. NARTICOFORO. Oimè, che fetulenzia, che cloaca è questa! MORFEO. Ti giuro...

MORFEO. Accioché ogni persona si muova a vomito in guardarmi; ma tutto è una delicatura a par di quello che vo' mostrarvi. Che vi par della campana che ho tra le gambe? ESSANDRO. Ah, ah, ah, a che effetto cotesto?

PANURGO. Ma torniamo a casa, che il tempo manca e le parole avanzano. E sovra tutto vorrei che appena accennandogli il principio, capisse il negozio e m'intendesse a cenno. MORFEO. Anzi io in mirarti in faccia so quello che cerchi da me. PANURGO. Dici da vero? MORFEO. Piú che da vero. PANURGO. E tu conoscesti la veritá mai?

MORFEO. Allegrati, beato te, che tu sei il priore, il monarca di tristi! PANURGO. Per le tue grandezze meritaresti una collana. MORFEO. E tu per le tue virtú una berlina. PANURGO. Ho voluto dir che meriti esser un re. MORFEO. E tu un principe di Cartagine. PANURGO. Con un scettro in mano ben grosso e lungo per governatore e capo di quell'isoletta di legno che sta in mare.

MORFEO. A me è slongata cogli... cogli... cogli altri membri la borsa, e vi è dentro caduto il ca... ca... camino di urinare; onde non posso piú fu... fu... fuggire la morte. PANURGO. Anzi l'ascosto è peggior del patente; ch'una certa egritudine, detta «lupa», gli ha devorato tutto il ventre, e in molti luoghi si veggono l'ossa denudate. GERASTO. che cosa vedo! Come l'avete voi condotto?

Nella notte il suo letto solitario era stato visitato dagli alati messaggeri di Morfeo, i quali erano tutti intenti a raffigurargli una bionda, con la veste di color pavonazzo e la gorgieretta di mussolina a cannoncini insaldati. Il più bizzarro ricambio di pensieri, il più veloce viaggio nei giardini di Amatunta era stato fatto dal dormente, in compagnia della bionda consolatrice del suo sogno.

Conosci tu Gerasto medico, un certo uomo da bene? MORFEO. Io non conosco niuno uomo da bene. Che ho a far io con loro? io non prattico se non con ribaldi, perché mi danno da mangiare. Ma perché non andiamo a tavola e diamo una batteria a quel tuo apparecchio? PANURGO. È troppo mattino. MORFEO. Anzi mangiando presto la mattina, ogni cosa ti riesce a proposito quel giorno.

MORFEO. Eccomi all'ubidire. PANURGO. Togliamcele calde calde. MORFEO. Presto presto, che non puzzino. PANURGO. Nasconditi, ascolta e vieni a tempo. MORFEO. Mi nasconderò, ascoltarò e uscirò a tempo dall'imboscata. PELAMATTI. Non si vidde al mondo mai il piú bizzarro uomo di maestro Rampino.

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