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Nella medesima maniera si giustificano le diffidenze non mai troppe, e i timori plausibili contro la parte repubblicana; si spiegano le mirabili fortune della impresa, che dicono perduta per colpa, e arebbono a dire, per senno del Re, il quale aombrava meritamente della repubblica troppo più che dell'Austria, perchè con questa poteva guadagnare terra, alla più trista non perderla, con quella perdeva tutto di certo .

CONSTANZA. Son una donna che, quando Pardo e Attilio sapessero ch'io son viva e qui venuta, ne arebbono quella allegrezza che ne ho io. ATTILIO. Ditelo, di grazia. CONSTANZA. A voi non appertiene saperlo. ATTILIO. E forse me s'appertiene piú che ad altri, perché io son Attilio suo figliuolo.

BALIA. Ma la morte privò l'uno e l'altra di tanta speranza, e Idio ne ha fatto la vendetta per voi, ch'essendo eglino venuti poi in miglior fortuna, arebbono voluto manifestarvi l'inganno e riaver indietro la loro figliuola; ma vi fu rapita da turchi: e allora piansero amaramente il peccato e il gastigo di Dio, e se ne moriro ambiduoi di disperazione e di doglia.

RUFINO. Patrone, io ve ricordo che, se piú ne avessivo rechiesti, piú ne arestivo trovati ch'el medesmo vi arebbono detto. CURZIO. Vedi che 'l nostro banchieri ne ha aiutato inel bisogno con una sola polizza delle nostre senza altri contratti o cavillazioni.

Ma ella volgerá la colpa sovra di me, come che del tutto sia stata cagione: si dolerá di me, mi biestemmará, come consigliera e adiutrice. Ma chi non arebbono ingannata tante lacrime, tanti suspiri e tanta ostinazione di star i mesi e gli anni intieri, di giorno al sol dell'estate, e le notti intiere al freddo, alle pioggie e a' tuoni dell'inverno?

DON FLAMINIO. O che vi fussero o che non vi fussero, poco importa. LECCARDO. Dico che non vi erano; e dicean che son caldi per natura e che arebbono fatto male al fegato. DON FLAMINIO. Vorrei che ragionassi del fatto mio. LECCARDO. E del vostro fatto si ragiona: a voi tocca. Ché si vi fusser stati piccioni, non arei mangiato teste di capretti.

BALIA. Ti chiamo cosí, Cintio, angeluzzo mio polito, ché se non fussi di cosí barbara e discortese natura, i tanti chiari e vivi segni, che hai conosciuti dell'affezion di Lidia, arebbono fatto teco alcun frutto. CINTIA. Deh! che la cagion d'ogni mia doglia è che fui di natura troppo piacevole e cortese che subito apprese e fece frutto.