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Aggiornato: 22 giugno 2025


DON FLAMINIO. Benissimo, meglio che s'io fussi stato nel tuo cuore o tu nel mio. LECCARDO. Che dici del capitano, del suo non aspettato e fattoci beneficio? DON FLAMINIO. La fortuna non ha ingannato punto il nostro desiderio. LECCARDO. Mai mi son compiaciuto di me stesso come ora, tanto mi par d'aver fatto bene. DON FLAMINIO. Te ne ho grande obligo. LECCARDO. Ne avete cagione.

O madre, che amara novella m'hai tu data! o quanto piú grata mi saresti, se conceputo non m'avessi o generato in questa vita, overo uccisomi nella cuna. Che obligo debbo averti della vita, che m'hai data, se con una amara nuova mi togli la vita e l'anima insiememente?

19 Quando il garzon sicuro de la vita con Ruggier si trovò fuor de le porte, gli rendé molta grazia ed infinita con gentil modi e con parole accorte, che non lo conoscendo, a dargli aita si fosse messo a rischio de la morte; e pregò che 'l suo nome gli dicesse, per sapere a chi tanto obligo avesse.

MANGONE. Lasciatela a me, ché ve ne arò assai obligo.

MANGONE. Sapete bene che la caparra porta seco tal obligo, che obliga il venditore a ricordarsi piú di lui che di ogni altro; e se non facessi torto alla vicinanza e alla vostra autoritá, ve la chiederei. FILIGENIO. T'intendo, eccolati. MANGONE. Avrete manco fatica a darmi il resto. FILIGENIO. Prendi, potrai annoverargli con piú agio in casa tua: son cinquanta scudi.

DON FLAMINIO. Poiché non posso giovarle col spender la robba, la vita e l'onore, le giovarò con la lingua: onorerò lei, infamerò me stesso; e son tenuto farlo per obligo di cavaliero. Andiamo insieme innanzi al mio zio, accioché di quello che farò ne siate buon testimone. Tutti stanno colerichi: intrighi di amori, di morti, di cavalieri, e cacasangui che venghino a quanti sono!

POLISENA. Or poiché l'amate tanto, vostra sia; e farò che don Ignazio ve la conceda. DON FLAMINIO. Con una medicina mi sanarete due infermitá, di amore e di gelosia; e vi arò sempre obligo delle due vite che mi donate. DON IGNAZIO. O madre, non vi promettete tanto di me, ché ancorch'io volessi non potrei. POLISENA. Ben potreste, . DON IGNAZIO. E s'avesse il potere non avrei il volere.

PANDOLFO. La stupendissima fama del valor vostro ci chiama: noi siamo venuti per ricevere da voi un favore, e vi prego da quel grande uomo che sète a non mancarmi, e ve ne avrò singolare obligo. ALBUMAZAR. Eccomi pronto alla caritá. CRICCA. Purché non sia pelosa!

AMASIO. Se volete questa será al vostro comando, bisogna me ne abbiate obligo alcuno, ché ho piú a caro servirlo che voi, o esser servito; del venir a veder recitar la comedia non posso prometterlo, ché tra noi donne vogliam far maschere questa sera. CINTIA. Ma quando io vi reservirò tanta grazia? AMASIO. Farei altra cosa per amor vostro. CINTIA. Vorrei un'altra grazia da Vostra Signoria:...

ATTILIO. Madre, ciò facendo vi arò piú obligo che della vita che donato mi avete, quando mi partoriste; ché, amando costei piú dell'istessa vita, donandomi costei, mi donate la vera vita. TRINCA. Ma bisogna, padrona, quando v'incontrate, usar quelle accoglienze come si fosse la propria Cleria vostra figlia; e dimandandovi di alcune cose, le sappiate rispondere e, di quelle che non sapete, tacere.

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