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PANDOLFO. Eccomi e con la persona e con la robba per servirti e porre navi e cavalli per osservarti la promessa, e sarò tuo campione. VIGNAROLO. Su su, me ne son pentito: la cosa non può riuscire, resta per me. PANDOLFO. Che dici? che cervello è il tuo? VIGNAROLO. Orsú, voglio servirvi. PANDOLFO. E ti vuo' dar del mio ducento ducati piú di dote.

Essendo il cambio alto, per il guadagno poco o molto, questi, che vogliono comprarle, cambiano questi denari con diversi mercanti in Regno, quali pagheranno questi denari delli medesimi denari di Regno che essi vi hanno; e cosí si estrae la robba senza venirci contanti, stante il cambio.

CLEMENZIA. Farai bene di farne manco romore che puoi e veder di proveder, meglio che si potrá, che la torni a casa senza che tutta questa cittá se ne accorga. Ma tanto avesse ella fiato, suor Novellante Ciancini, quanto io credo che sia vero che Lelia vada vestita da uomo! Guarda che elle non dichin cosí perché la vorrebbeno far monaca e che tu gli lassi tutta la robba tua.

E tanto piú si dovea fare, quanto egli di sopra ha detto che le cittá d'Italia non possono spesarsi della robba del Regno, ché con quella vivono; e l'esperienza predetta del regno di Sicilia lo dovea certificare di questo e non farlo dubitare che si saria perduto il commercio per il mancamento del cambio, come non si è perduto in detto regno.

In tutto il suo Discorso Marco Antonio de Santis non intende provare altro se non che l'altezza del cambio della piazza di Napoli con l'altre d'Italia è la sola causa che ha fatto impoverire il Regno di denari; e di questo assegna la ragione: perché l'altezza del cambio non permette che li denari, che doveano venire in Regno per la estrazione della robba fuora Regno, vengano in contanti, ma per cambio, e quelli, che doveano uscire per cambio per le mercanzie portate da fuora nel Regno, escono di contanti, per l'utile che si ha nell'uno e nell'altro; cosí all'incontro la bassezza debba essere causa dell'abbondanza, per operare il contrario effetto per la medesima ragione.

Iddio mi dia grazia ch'io gli possa far del bene. Che borbotti? che dici, poltrone? non è vero? CRIVELLO. Che volete ch'io dica? Dico di , io. Fabio è buono, Fabio è bello, Fabio serve bene, Fabio con voi, Fabio con madonna... Ogni cosa è Fabio; ogni cosa fa Fabio. Ma... FLAMMINIO. Che vuol dir «ma...»? CRIVELLO. ...non sará sempre buona robba. FLAMMINIO. Che dici tu di robba?

PANFAGO. Oimè, oimè, perché con tanta fretta? ALESSANDRO. Perché cosí meritano i pari tuoi. CAPITANO. Io non so che hai tu meco che cerchi da me: che sai tu chi sia io, se questa è la prima volta che pongo il piede in questa terra? e tu come una infernal furia mi persegui! MANGONE. Vo' che mi restituisca la mia robba, poiché per tuo conto io son stato miseramente assassinato.

FILIGENIO. Veggio venir il dottor verso me: qualche altra burla aranno scoverta di Forca: non sará per finir tutto oggi. DOTTORE. Filigenio, io vengo a ragionar di cose assai differenti dalle passate, alle quali mai non pensaste: ora non è tempo di amori, ma di compimenti di onore: e ben sapete che dove va l'onore, poco si prezza la robba e la vita insieme.

Ed egli medesimo lo confessa, mentre assegna la causa di venirvi denari in Regno alla robba che si estrae, e il cambio alto l'assegna per mezzo d'impedimento che non vi venghino contanti, e il basso che vi venghino; e nel capitolo precedente si è provato non esser vero.

Voi sapete che ho tanta robba che posso giovar agli amici e castigar gli inimici; e chi mi toglie lei, mi toglie l'onor mio: e l'onor pone l'uomo in disperazione, e il disperato di se stesso non può aver pietá di alcuno. Son uomo da far che i suoi amori gli costino molto cari, e a voi, a Forca e a tutti i complici; e sará piú duro il vero male che l'apparenza del falso bene.