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Aggiornato: 4 luglio 2025


CLEMENZIA. Non può esser che non sia questo, ché par tutto Lelia. O Fabrizio, figliuol mio, che tu sia il ben tornato: che è di te? FABRIZIO. Bene, balia mia cara. Che è di Lelia? CLEMENZIA. Bene, bene. Ma entriamo in casa, ché ho da parlare a longo con tutti voi. VIRGINIO e CLEMENZIA. VIRGINIO. Io ho tanta allegrezza d'aver trovato mio figliuolo ch'io son contento d'ogni cosa.

LELIA. Non ve l'ho detto? che il maggior piacere che voi le possiate fare al mondo è di lasciarla stare e non pensar piú a lei, perché l'ha vòlto l'animo altrui; e che, insomma, la non ha occhi con che la vi possi pur guardare; e che voi perdete il tempo e quanto fate in seguirla, perché, alla fine, vi trovarete con le mani piene di vento.

Se tu sapesse come i tuoi pari mi piacciono... LELIA. Dio vi dia il buon , mona Scrocca-il-fuso. CLEMENZIA. Va'. Dállo pure a chi tu debbi aver dato la buona notte. LELIA. Se ad altri ho data la buona notte, a voi darò il buon , se lo vorrete. CLEMENZIA. Non mi rompare il capo, ché tu mi faresti, questa mattina... ti so dir io.

Mirommi piú volte dal capo ai piedi tal che quasi ebbi paura che non mi cognoscesse; poi mi disse che, se mi fusse piaciuto di star seco, mi terrebbe volentieri e mi trattaria bene e da gentile uomo. Io, pur vergognandomi un poco, gli risposi di . CLEMENZIA. Io non vorrei esser nata, sentendoti. E che util ne vedesti, per te, di far questa pazzia? LELIA. Che utile?

Il resto è tutto un ripieno; il poeta ha messi quei due versi con quel noi tutto suo, tra tanta enumerazione d'animali di buono e di cattivo augurio, e una diffusa descrizione del ratto d'Europa; il qual noi è come una tenerezza nascosta, da lasciarci pensare due cose: che Lelia Galla piaceva ad Orazio, e che per piacere in quel modo ad un uomo di buon naso come lui, bisognava essere un fior di donna, possedere il quid arcanum; una cosa che a noi sfugge, poichè egli non ha stimato prudente di dircela. Tradurrò certamente tutta l'ode, e rester

FLAMMINIO. Oh! Ridimelo un'altra volta. Questo che importa a te? LELIA. Oh! Che m'importa? Importami: ch'io veggo che voi ne pigliate dispiacere; il che cosí duole a me come a voi. Essendovi, com'io vi sono, servidore, non doverei cercare altro che di piacervi; ché, forse, di queste risposte ne volete poi male a me. FLAMMINIO. Non dubitar di questo, il mio Fabio, ch'io t'amo come fratello.

Benchè il Chiabrera non dica per qual motivo Giovanni suo zio abitasse in Roma, io credo poter affermare che ciò fosse per ragione di commercio. Certo è che Augusto fratel naturale del Poeta maneggiava in Roma la dote di Lelia; e maneggiare qui significa mercanteggiare. Lelia era di casa Pavese; e che i Pavesi eziandio tenessero negozio in Roma, è cosa notissima. Sappiamo similmente che al commercio applicavano nella capitale del mondo cattolico i Siri, ragguardevole famiglia di Albisola. Erano speculazioni commerciali di banco, che non offuscano la nobilt

Vorrei che mi prestasse due carlini per comprare una soma di legna, ché non n'ho stecco. VIRGINIO. Diavolo, empiela tu! Orsú! Va', ché te le comprarò io. CLEMENZIA. Voglio andare prima alla messa. LELIA da ragazzo chiamata per finto nome FABIO e CLEMENZIA balia.

LELIA. Sai che, dopo il miserabil sacco di Roma, mio padre, perduta ogni cosa e, insieme con la robba, Fabrizio mio fratello, per non restar solo in casa, mi tolse dai servizi della signora marchesana con la quale prima m'aveva posta; e, costretti dalla necessitá, ce ne tornamo a Modana in casa nostra per fuggir quella fortuna ed a viver di quel poco che avevamo.

LELIA. Se quella povera giovane fu prima vostra innamorata, e anco piú che mai v'ama, perché l'avete abbandonata per seguire altri? Il qual peccato non so se Iddio ve lo possa mai perdonare. Ahi, signor Flamminio! Voi fate, per certo, un gran male. FLAMMINIO. Tu sei ancora un putto, Fabio, e non puoi conoscere la forza d'amore.

Parola Del Giorno

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