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Aggiornato: 4 luglio 2025


CLEMENZIA. Nol diss'io che questo ragazzo... Disfatta a me! LELIA. Ella me ne confortò; e amaestrommi del modo ch'io avevo a tenere; e accommodommi di certi panni che nuovamente s'aveva fatti per potere ella ancora, alcuna volta, come l'altre fanno, uscir fuor di casa travestita a fare i fatti suoi.

CLEMENZIA. Io vo' saper perché tu vi vai e perché sei uscita del monistero. Oh! Se tuo padre il sapesse, non t'uccidarebbe, povara te? LELIA. Mi cavarebbe d'affanni. Tu credi forse ch'io stimi la vita un gran che? CLEMENZIA. Perché vai cosí? Dimmelo.

LELIA. Il nome no, ch'io sappi, e massimamente in questa terra. Del resto si vuol domandarne gli spagnuoli che mi tenner prigiona a Roma. CLEMENZIA. Questo è l'onor che tu fai a tuo padre, a la tua casa, a te stessa ed a me che t'ho allevata? che ho voglia di scannarti con le mie mani. Entrami innanzi, veh! ch'io non voglio che tu sia piú veduta in questo abito. LELIA. Oh!

LELIA. Dico ch'è il cuore che mi duole. FLAMMINIO. Ed a me, forse, molto piú. Tu hai perduto il colore. Vattene a casa: e fatti scaldare qualche panno al petto e far qualche frega dietro alle spalle; ché non sará altro. Io sarò or ora e, bisognando, farò venire il medico che ti tocchi il polso e vegga che male è il tuo. ' qua, un poco, il braccio. Tu sei gelato. Orsú! Vattene pian piano.

Dormi forse con lui? LELIA. Dio il volesse ch'io fusse tanto in grazia sua! ch'io non sarei ne' dispiaceri ch'io sono. PASQUELLA. Oh! Non dormiresti piú volentieri con Isabella? LELIA. Non io. PASQUELLA. Eh! Tu non dici da vero. LELIA. Cosí non fusse! PASQUELLA. Or lasciamo andare.

LELIA. A me no, signore. FLAMMINIO. Perché? LELIA. Perché, s'io fusse in voi, vorrei ch'ella l'avesse di grazia ch'io la mirasse. Forse ch'a un par vostro, nobile, virtuoso, gentile, delle bellezze che sète, mancaranno dame? Fate a mio modo, padrone. Lasciatela e attacatevi a qualcun'altra che v'ami; ché ben ne trovarete, , e forse di cosí belle come ella.

SCATIZZA. Il cancar che ti venga, a te e quel pazzo di tuo padrone! SPELA. Lasciame andare e tira a te. Donde vieni? SCATIZZA. Dalle monache di Santo Crescenzio. SPELA. Or be', che è di Lelia? È tornata a casa? SCATIZZA. La forca tornará per te! fare Iddio che quel mentecatto di tuo padrone se la crede avere? SPELA. Perché? Non lo vuole? SCATIZZA. Credo di no, io.

CLEMENZIA. Perché la tenete, tutto questo anno, in su le pratiche di volerla o di non volerla? GHERARDO. Che! Pensasi Lelia che rimanga da me, adunque? S'io non sollecito ogni suo padre, se non è la maggior voglia ch'io abbi al mondo, s'io non volesse che si facesse piú presto oggi che domane, che tu mi vegga, fra pochi , sovr'una bara. CLEMENZIA. E questo non mancará, se a Dio piace.

Per buon rispetto. LELIA. Orsú, Isabella! Non vi dimenticate di quanto m'avete promesso. ISABELLA. E voi non vi dimenticate di venirmi a vedere. Ascoltate una parola. CRIVELLO. S'io fusse in questa fregágnuola, so che 'l padrone mi perdonarebbe! SCATIZZA. Mangiaresti i polli per te, eh? CRIVELLO. Che ne credi? LELIA. Or volete altro? ISABELLA. Udite un poco. LELIA. Eccomi.

LELIA. Alla tavola, alla camera. E conosco essergli venuta, in questi quindici ch'io l'ho servito, in tanta grazia che, se in tanta gli fusse nel mio vero abito, beata a me! CLEMENZIA. Dimmi un poco: e dove dormi tu? LELIA. In una sua anticamara, sola. CLEMENZIA. Se, una notte, tentato dalla maladetta tentazione, ti chiamasse ché tu dormisse con lui, come andarebbe?

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