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Aggiornato: 20 luglio 2025
Io gli dirò ogni cosa. Ma sapete? La vi vorrebbe vedere andare altramenti; ché cosí gli parete un pecorone. GHERARDO. Come «un pecorone»? che gli ho io fatto? CLEMENZIA. No. Ma perché voi andate sempre avviluppato ne le pelli. SPELA. Sará buon, dunque, che per amor suo si faccia scorticare o che, almanco, corra ignudo per questa terra. Ha' veduto? GHERARDO. Io ho piú be' panni ch'uom di Modena.
SCATIZZA. Il cancar che ti venga, a te e quel pazzo di tuo padrone! SPELA. Lasciame andare e tira a te. Donde vieni? SCATIZZA. Dalle monache di Santo Crescenzio. SPELA. Or be', che è di Lelia? È tornata a casa? SCATIZZA. La forca tornará per te! Pò fare Iddio che quel mentecatto di tuo padrone se la crede avere? SPELA. Perché? Non lo vuole? SCATIZZA. Credo di no, io.
SPELA. Credolo: ché, dove un altro la pagarebbe di grossi e di cinquine, e voi la pagarete di doppioni e di piccioli. GHERARDO. Ecco la sua balia. Taci, ch'io voglio astutamente domandare che è di Lelia. CLEMENZIA. Oh che bel giglio d'orto da voler moglie sí tenera! Credi che fusse ben condotta, quella povera figliuola, nelle man di questo vecchio rantacoso?
SPELA. Ehi, liberalaccio! E a me che darete? CLEMENZIA. Tanto fusse voi in grazia del duca di Ferrara quanto voi sète in grazia di Lelia, che buon per voi! Ma sí! Voi la dileggiate: ché, se voi gli volesse bene, non la terreste in queste trame né cercaresti di tuorgli la sua ventura. GHERARDO. Come torgli la sua ventura? Io cerco di darglila, non di torgliela.
Io dico ch'io non ho altro male che di Lelia mia, delicata, inzuccarata. SPELA. Io so che voi avete la febbre e state molto male. GHERARDO. A che te ne accorgi tu? SPELA. A che? Non vi accorgete che voi sète fuor di gangari, farneticate, affannate e non sapete che vi dire? GHERARDO. Gli è Amor che vuol cosí, non è vero, Clemenzia? Omnia vincit Amor. SPELA. Ohu! Che bel detto da napoletani!
SCATIZZA. A trovare il mio grimo. CRIVELLO. Gli è passato di qui or ora. SCATIZZA. Dove è andato? CRIVELLO. In qua sú. Viene, ché 'l trovaremo. Eh viene! ché t'ho da contare una facezia, che m'è intervenuta con la mia Caterina, la piú bella del mondo. SPELA servo di Gherardo, solo. Può esser peggio al mondo che servire a un padron pazzo? Gherardo mi manda a comprare il zibetto.
GHERARDO. O Spela, quanto sarei stato contento s'io fusse costei! SPELA. Perché avreste, forse, provati molti mariti, ove non avete provato se non una moglie? O pur il dite per altro? CLEMENZIA. E quanti mariti ho io provati, Spela? che Dio te faci spelar da le mosche! Hai tu forse invidia di non esser stato un di quelli? SPELA. Sí, per Dio! ché la gioia è bella, almanco.
Ho caro che me l'abbi detto. Vorrò che, di qua a un poco, mi vegga altrimenti. Ma dove la potrei vedere? quando tornerá dal monistero? CLEMENZIA. Alla porta Bazzovara. Or ora voglio andare a trovarla. GHERARDO. Ché non mi lassi venir con te, che andarem ragionando? CLEMENZIA. No, no. Che direbben le genti? GHERARDO. Io muoio. Oh amore! SPELA. Io scoppio. Oh bastone! GHERARDO. Oh beata a te!
SPELA. Oh pazzo che tu se'! GHERARDO. Oh Clemenzia avventurata! SPELA. Oh bestia mal cignata! GHERARDO. Oh latte ben contento! SPELA. Oh capo pien di vento! GHERARDO. Oh Clemenzia felice! SPELA. Oh! in culo avestú una radice! GHERARDO. Orsú, Clemenzia! Addio. Viene, Spela, ch'io mi voglio ire a raffazzonare. Ho deliberato di vestirmi altrimenti per piacere alla mia moglie. SPELA. L'andará male.
CLEMENZIA. Di cotesto guardatevi molto bene, ch'io non voglio esser baciata da vecchi. GHERARDO. Paioti cosí vecchio? SPELA. Che credi? Al mio padrone non sono ancor caduti gli occhi fuor di bocca; volsi dire, i denti. CLEMENZIA. In ogni modo, non avete il tempo che si crede, veggo ben io. GHERARDO. Dillo a Lelia. E sai? Se mi metti in sua grazia, ti vo' donare un mongile.
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