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Aggiornato: 20 ottobre 2025
Alla croce di Dio, che io la strozzerei prima che voler ch'ella fusse data a questo vieto, muffato, baboso, rancido, moccioso. Io ne voglio un poco di pastura. Lassamigli accostare. Dio vi dia il buon dí e la buona mattina, Gherardo. Voi mi parete, questa mattina, un cherubino. GHERARDO. E a te ne dia centomila e altri tanti ducati. SPELA. Cotesti starebbon meglio a me.
Tanto che pur m'accorsi che m'uccellavano, ché non volevano ch'io le parlasse. SPELA. Tu fosti un da poco. Dovevi entrar dentro e dir che la volevi cercar tu. SCATIZZA. Cancaro! Entra dentro solo! Va' lá, va' lá: tu mi conciaresti! Oh! Non c'è stallone in Maremma che ci regesse col fatto loro, solo. Monache? Cancaro! Ma io non posso star piú con te; ché ho da rispondere al mio padrone.
Ligella spela i suoi avvizziti incanti: «se ti resta un qualunque pudore, le grida Marziale, cessa di strappar la barba ad un leone morto». La maggior parte delle cortigiane non erano Greche, esse non venivano da molto lontano, e molte ne uscivano dai sobborghi di Roma, dove le madri le avevano vendute alla crapula.
GHERARDO. Io ho il malan che Dio ti dia. Che febbre! Io mi sento pur bene. SPELA. Dico che voi avete la febbre: lo conosco ben io, certo; e grande. GHERARDO. So ch'io mi sento bene. SPELA. Duolvi il capo? GHERARDO. No. SPELA. Lasciatemivi toccare un poco il polso. Duolvi lo stomaco o pur sentite qualche fumo andare al cervello? GHERARDO. Tu mi pari una bestia. Vuo' mi far Calandrino, forse?
SPELA. Credo che molto meglio fareste a far qualche bene ai vostri nepoti, che stentano, e a me, che v'ho servito tanto tempo e non mi so' pure avanzato un par di scarpe; ch'io ho paura che questa moglie non vi mandi qui o che la vi faccia... So ben io. GHERARDO. Vorrò che tu vegga s'ella si terrá ben pagata da me.
Parti ch'ella sia carne da' suo' denti? SPELA. Ella ha ragione, in fine; ma che dice? SCATIZZA. Niente non dice. Che vuoi ch'ella dica, quando io non l'ho potuta vedere? ché, come io gionsi lá, e domanda' la, quelle sgherracce di quelle monache volevan la pastura di me. SPELA. Altro volevan che la pastura! Piú presto il pastorale. Tu non le conosci bene.
Tacerò fin che di nuovo gli parli. GHERARDO vecchio, SPELA suo servo e CLEMENZIA balia. GHERARDO. Se Virginio fa quanto m'ha promesso, io mi vo' dare il piú bel tempo ch'uom di Modena. Che ne dici, Spela? Non farò bene?
SPELA. Voglio intender questa novella. SCATIZZA. Com'io bussai alla ruota, subito tutta la stanza s'empí di suore; e tutte giovane e tutte belle come angeli. Comincio a domandar di Lelia. Chi ride di qua, chi sghignazza di lá; tutte si facevan beffe del fatto mio, come se io fusse stato un zugo melato. SPELA. Addio, Scatizza. E donde si viene? Oh! Tu hai delli zuccarini. Dammene.
E, se mi dirá niente, gli farò fare un sí fatto spauracchio dal mio Spela che mai non n'ebbe un sí fatto. GIGLIO. Oh que benditta sia quella bien aventurada madre que vi fezio e criò tan hermosa, tan bien criada, tan verdadera! Ya penso que me speravate. PASQUELLA. Mira che dolci paroline che gli hanno!
SPELA. Ed io ho a comprare il zibetto a quel pazzo del mio. LELIA da ragazzo sotto nome di FABIO e FLAMMINIO giovene innamorato. FLAMMINIO. Gli è pure una gran cosa, Fabio, che, in fino a qui, non abbi potuto cavare una buona risposta da questa crudele, da questa ingrata d'Isabella.
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