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Aggiornato: 4 luglio 2025
Non sai che, or ora, passando di lá, si levò subito, come la mi vidde, dalla finestra con tanto sdegno e con tanta furia come s'ell'avesse visto qualche cosa orribile o spaventosa? LELIA. Lasciatela andar, vi dico. È possibil che, in tutta questa cittá, non sia un'altra che meriti l'amor vostro quanto lei? Non vi è piaciuta mai altra donna che lei?
Piagne, si consuma, si strugge, ché stamattina non sei ancor passato da casa sua. LELIA. Oh! Che vuol ch'io ci passi innanzi giorno? PASQUELLA. Credo ch'ella vorrebbe che tu stesse con lei tutta la notte ancora, io. LELIA. Oh! Io ho da fare altro. A me bisogna servire il padrone; intendi, Pasquella? PASQUELLA. Oh! Io so ben che a tuo padron non faresti dispiacere a venirci, non.
A me piace ben che tu sia venuta a casa della tua balia; ma l'esser veduta in questo abito è poco onore e a te e a me. LELIA. Oh sventurata! Costui m'ha conosciuta. Con chi parlate voi? Che Lelia! Io non son Lelia. GHERARDO. Oh! Poco fa, che noi t'inserrammo con Isabella mia figliuola, tuo padre ed io, non confessasti tu d'esser Lelia? e, poi, credi ch'io non ti conoschi, moglie mia?
Abbi un poca di pazienzia, se tu vuoi. CLEMENZIA. O non ti vergogni d'esser veduta cosí? LELIA. So' io forse la prima? N'ho vedute a Roma le centinaia. E, in questa terra, quante ve ne sono che, ogni notte, vanno in questo abito ai fatti loro! CLEMENZIA. Coteste son ribalde. LELIA. Oh! Fra tante ribalde non ne può andare una buona?
Confortato in tal guisa dalla Religione, si morì il 14 ottobre 1638; e il dì appresso, fu il suo cadavere onorevolmente accompagnato alla chiesa di S. Jacopo de' Minori Riformati, e nell'arca della sua famiglia deposto; ma nè la moglie, benchè agiata ed erede del marito, nè gli amici, nè il Comune pensarono mai a onorarne la tomba. Lelia sopravvisse fino al 1647.
GHERARDO. Oh! Tu hai fatto ben quel ch'io ti dissi! Ho cosí voglia di romperti l'ossa. PASQUELLA. Perché? GHERARDO. Perché hai lasciato partir Lelia? Non ti diss'io che tu non gli aprisse? PASQUELLA. Quando partí? non è ella in camera? GHERARDO. È il malan che Dio ti dia. PASQUELLA. So che la v'è, io. GHERARDO. So che la non v'è; ché l'ho lasciata in casa di Clemenzia sua balia.
FLAMMINIO. Cosí non fusse! ch'io ho paura che questo non sia la cagion di tutto 'l mio male: perché io amai giá molto caldamente quella Lelia di Virginio Bellenzini di ch'i' ti parlai; e ho paura ch'Isabella non dubiti che questo amor duri ancora e, per questo, non mi voglia vedere. Ma io gli farò intendere ch'io non l'amo piú; anzi, l'ho in odio e non la posso sentir ricordare.
Dimmi, ragazzo: e dove mi conosci tu, che vuoi saper tanto delle cose mie? Levati un poco questa cappa dal volto. LELIA. Orsú! Fai vista di non mi conoscere, eh? CLEMENZIA. Se stai nascosto, né io né altri ti conoscerá. LELIA. Tirati un poco piú in qua. CLEMENZIA. Ove? LELIA. Piú in qua. Ora cognoscimi? CLEMENZIA. Se' tu forse Lelia? Dolente a la mia vita! Sciagurata a me! Sí, che gli è essa.
SPELA. Voglio intender questa novella. SCATIZZA. Com'io bussai alla ruota, subito tutta la stanza s'empí di suore; e tutte giovane e tutte belle come angeli. Comincio a domandar di Lelia. Chi ride di qua, chi sghignazza di lá; tutte si facevan beffe del fatto mio, come se io fusse stato un zugo melato. SPELA. Addio, Scatizza. E donde si viene? Oh! Tu hai delli zuccarini. Dammene.
E non vorrei che niun di questi sbarbatelli, che van facendo il bravo per Modena col pennacchio ritto alla guelfa, con la spada alla coscia, col pugnal di dietro, con la nappa di seta, mi vincesseno in cosa nissuna, eccetto che nel correre. VIRGINIO. Tu hai buono animo. Non so come le forze riusciranno. GHERARDO. Vorrò che tu ne domandi Lelia, come sará, la prima notte, dormita con me.
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