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Aggiornato: 4 luglio 2025


Ditemi: non avete voi nissuna che avesse caro che voi l'amasse, in questa terra? FLAMMINIO. Come s'io n'ho? E la mia sorte mi fece innamorar di costei: che tanto m'è stata cruda quanto quella mi fu cortese. LELIA. Padrone, e' vi sta bene ogni male perché, se avete chi v'ama e non l'apprezzate, è ragionevol cosa che altri non apprezzi voi. FLAMMINIO. Che vuo' tu dire?

LELIA. Ivi stando, d'altro che d'amor ragionare sentendo a quelle reverende madri del monistero, m'assicurai ancor io di scoprire il mio amore a suor Amabile de' Cortesi.

LELIA. Gli è pure un grande ardire il mio, quando io 'l considero, che, conoscendo i disonesti costumi di questa scorretta gioventú modanese, mi metta sola in questa ora a uscir di casa! Oh come mi starebbe bene che qualcun di questi gioveni scapestrati mi pigliasse per forza e, tirandomi in qualche casa, volesse chiarirsi s'io son maschio o femina!

CLEMENZIA. Egli si crede certo d'aver te; e dice che tuo padre te gli ha promesso. Ma questo che tu m'hai detto non fa a proposito del tuo andar vestita da maschio e del tuo essere uscita del monistero. LELIA. Se mi lassi dire, vedrai che gli è a proposito. Ma, rispondendo a quel di prima, dico che me non averá egli.

CLEMENZIA. Dico che tuo padre m'ha detto ch'io venga per te; e ch'io voglio che tu te ne venga a casa mia, ché mandarò pe' tuo' panni; e non voglio che sia veduta cosí, se non che dirò ogni cosa a tuo padre. LELIA. Tu farai ch'io andarò in luogo che mai piú mi vedrete tu egli. Fa' a mio modo, se tu vuoi. Ma non ti posso finir di dire ogni cosa. Sento che Flamminio mi chiama. Signore!

LELIA. Se m'ascolti, io tel dirò; e, a questo modo, intenderai quanta sia la disgrazia mia e la cagion per ch'io vada in questo abito fuor del monistero e quel ch'io voglio che in questa cosa tu faccia. Ma tirati piú in qua: ché, se alcun passasse, non mi conoscesse, per vedermi ragionar con teco. CLEMENZIA. Tu mi fai consumare. Di' presto, ch'io morrò disperata. Oimè!

Tu mi rompi il capo, ora. Vatti con Dio. PASQUELLA. Non vuoi venire? LELIA. Non, dico: non m'intendi? PASQUELLA. In buona fede, in buona veritá, Fabio, Fabio, che tu sei troppo superbo. E sai che ti ricordo? che tu sei giovinetto e non conosci il ben tuo. Questo favore non ti durerá sempre, no.

LELIA. Trovailo che tanto apponto si ricordava di me quanto se mai veduta non m'avesse; e, ch'è peggio, ch'ogni suo animo, ogni sua cura ha posta in acquistar l'amor d'Isabella di Gherardo Foiani come quella che, oltre ch'è assai bella, è unica a suo padre, se quel vecchio pazzo non piglia moglie e faccia altri figliuoli.

LELIA. Sai ancor che, essendo partiti li soldati di Roma, volse mio padre tornar per veder se niente del nostro fusse salvato ma, molto piú, per veder se nuova alcuna sentiva del mio fratello; e, per non lassarmi sola, mi mandò a stare alla Mirandola, fin che tornava, con la zia Giovanna.

Una cortigiana, certa Lelia, avéva mandato a memoria qualche parola greca, che ripeteva continuamente con un accento romano; Marziale le dice: «Quantunque tu non sii nata a Efeso, a Rodi, a Metilene, ma in una casa dei sobborghi patrizii, quantunque tua madre, che mai non conobbe cosa volesse dir lavarsi, sia nata presso gli Etruschi dalla carnagione olivastra, e che quel rustico di tuo padre sia originario della campagna di Aricia, tu impieghi a qualunque proposito questo dolci espressioni greche: vita mia, anima mia!

Parola Del Giorno

serafica

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