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Come era bella con quel cipiglio che pareva dirmi: chi vi diede quei fiori?... In quell'istante passava per la via uno spazzino, io gettai con destrezza il mazzetto di fiori nella sua carriola; essa vide il mio atto, i suoi lineamenti mutarono espressione, sorrise a fior di labbra, mi guardò con soddisfazione e scomparve.

Ritirato nella mia stanza, mi gettai sul canapè, piansi dirottamente, e mi addormentai oppresso dalla stanchezza. Mio zio ebbe la delicatezza di non ritornare a parlarmi de' suoi progetti, de' miei amori, lasciando al tempo ed alla riflessione l'incarico di accomodare ogni cosa. Intanto io passava giorni malinconici e notti irrequiete, rotolandomi nel letto senza trovare riposo.

Ci fermammo a contemplarlo. Diventò più feroce. Il Ranni, senza tanti complimenti, s'avanzò per applicargli una bastonata. Io lo trattenni e gettai al santo una moneta. Questo briccone tacque immediatamente, raccolse la moneta, la guardò di sopra e di sotto, se la mise in seno, e poi ricominciò ad urlare peggio di prima. Ah! questa volta, disse il Ranni; una legnata ci sta! E alzò il bastone.

Trasalii a tali parole, ogni sillaba delle quali fu un getto di luce, e interrompendoli mi gettai immezzo a loro, li abbracciai tutti ad una volta, e come meglio mel consentivano l'agitazione, la gioia, la maraviglia, il rossore, li nominai ad uno, ad uno, e proruppi: Vivi, ancora vivi! E da capo strinsi loro la mano e li assicurai collo sguardo, colla voce e col sorriso dell'allegrezza.

come quello che penando more Narrerò del mio stratio il tristo effectto Passando un giorno come volse Amore Nanti il tuo bello, ma spietato aspetto Restai de sentimento e spirto fore E ne' tuoi lacci ah cruda involto e stretto E credendo mi far il più giocondo Mi gettai dalla cima nel profondo.

La frase mi sembrò audace; gettai un'occhiata rapida intorno per vedere se fosse stata notata; ma tutti chiacchieravano gaiamente, ed ebbi l'intuizione che se fossi rimasto più a lungo a sorvegliar l'écarté di Lidia, avrei finito per esser notato io, peggio di qualunque frase. Dall'angolo ove m'ero posto, confrontai il giuoco d'Ettore col giuoco di Gian Luigi e vi trovai spaventose differenze.

Cercai il letto, tastai la fredda coltre, mi vi gettai sopra, bocconi. Il silenzio era alto. La fruttivendola, una storpia, addormentava il suo piccolo giù, nel vico, con una cantilena lamentosa. Nascosi la faccia nelli origlieri. E a un tratto mi misi a singhiozzare, convulsamente. La buona sera alla compagnia! Mi volsi.

Forse qualche settimana appena, forse pochi giorni. Ma nella mia memoria quel tempo occupa uno spazio grande, mi pare di esserci rimasta un anno. «Un giorno la serva entrò con una lettera. Io la presi e la gettai sulla tavola. «Ma no. Ella tornò a darmela. Bisognava che io la leggessi; l'aveva recata un signore, che stava aspettando la risposta. « Chi è? domandai.

Egli si pose in ginocchio e nascondendo il volto nel mio abito vi soffocò una parola che non intesi. Mi sentivo diventar di gelo, colla sensazione di una sofferenza diffusa in tutto il mio essere e poichè la sua testa stava sempre sui miei ginocchi e le sue braccia si alzavano verso di me implorando, mi gettai indietro col busto, irrigidita dal terrore, cercando di sfuggire il suo contatto.

Io, randagia indomabile, che il giogo degli uomini gettai, che ne respinsi la legge, e dell’orgoglio mio mi cinsi come Brunilde del divino rogo,