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Turpin la briga a narrarci si toglie alcune coserelle, e pur si lagna, vedute da Marfisa, e scrive e ciancia delle cittá e castella della Francia. Giugnendo la bizzarra in qualche terra, o vuoi castello o cittá provinciale, metteva del calesse il piede a terra, e per gire a' caffè metteva l'ale. In alcun luogo, se Turpin non erra, il caffè si bevea dallo speciale.

Cosí Rinaldo un util grande avea e s'aiutava i vizi a mantenere; ma il troppo vino, ch'ogni bevea, l'inebbriava, ed era un dispiacere; perché Clarice sua talor volea fargli l'ammonizion ch'era dovere, ed egli bestemmiava come un cane e le dicea parole assai villane. E minacciava un divorzio di fare, poi la mandava alla rocca ed all'ago.

Come il veggio cader dal cielo come una nubbe, vengo in piazza e lo ricevo nella palma; ché si desse in terra, se ne andrebbe fin al centro del mondo. LECCARDO. Che bevea? il mangiar il pane solo l'ingozzava e potea affogarsi. O si morí di sete? MARTEBELLONIO. Bevé un canchero che ti mangia! LECCARDO. Oh s'è bella questa, degna di un par vostro!

Anzi questo convito mi è paruto la mensa di Tantalo, dove quanto piú bevea men sazio mi rendeva e piú ingordo ne diveniva; anzi nel piú bel godere è sparita via, ed io mi sento piú assetato che mai; anzi mi par ch'ancor mi sieda negli occhi, e ci sento il peso della sua persona. O alta possanza di celesti bellezze! SIMBOLO. Se vi dolete per troppa felicitá, che farete nelle disgrazie?

Il vecchio è morto e seppellito: il sistro (azzarinu) si batte con un ferro; ma la Flora non riecheggia più di cembali, di canti, di balli, di grida di venditori. Il chiasso di chi mangiava e bevea all’Astracheddi⁵¹⁷ è appena un ricordo del Meli. Fino i giocatori alle bocce, incomodi e pericolosi ai passanti, sono per sempre scomparsi. Nel 1822 un forestiere trovava gi

Datemi ber, l'anima nostra viva. Si mangiava e scuffiava e si bevea con una divozion contemplativa. Filinor dissoluto i cor leggea, e s'adattava al caso ed istupiva; ma gli occhi ha chini e sta rattenuto, che piú santo degli altri fu creduto. Baldovino era un fanciullaccio rotto, ma seguiva il costume di soppiatto, ché in casa a Gan bisognava esser dotto e far le iniquitá chete per patto.

Silvia, assisa sopra divano appartato, sfogliando l'albo dei ritratti e sfiorando col mento la testa bionda d'una nipotina, non dava segno apparente di attenzione, ma bevea con avidissimi orecchi il grato eloquio dell'oratore faentino; e quand'egli ragionò del brillante coraggio di Zasio, io la colsi mentre, disotto agli archi delle magiche ciglia, essa saettò sul maggiore un'occhiata sfavillante di gratitudine, e, scolorata in viso, svolse con più rapida mano le pagine dell'albo.

Dolorosa in me si ridesta l'orma delle passate cose, perchè pur mi ricorda la luce alma che bevea cogli occhi ora ottenebrati e muti, e mi richiama i lieti giorni della mia fuggita gioventù. Ma poichè tanto desìo vi prende, pur nella mia fantasia si risvegliano i racconti che per lungo ordine di tradizione si tramandavano dai nostri avi ai giovinetti di questo casale.