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PANURGO. Sono in vostro potere, fate di me quel che vi piace; e se questo vi par poco, giungetevi altrotanto, ch'io soffrirò ogni supplicio. Ma di grazia, ditemi, di che vi dolete di me? GERASTO. Come! di che mi doglio di te?

fu mai figlia puttana, che la madre o la balia non le sia stata ruffiana. BALIA. Non vi potete doler di me, padron mio. ORGIO. Se tu m'avesti stimato padrone, e non una bestia, non mi aresti trattato nel modo che m'hai trattato. BALIA. Di che vi dolete di me? ORGIO. Chi ha portate e riportate l'ambasciate fra quel giovane e Sulpizia? o ridotti i loro amori nel termine dove or sono?

Anzi questo convito mi è paruto la mensa di Tantalo, dove quanto piú bevea men sazio mi rendeva e piú ingordo ne diveniva; anzi nel piú bel godere è sparita via, ed io mi sento piú assetato che mai; anzi mi par ch'ancor mi sieda negli occhi, e ci sento il peso della sua persona. O alta possanza di celesti bellezze! SIMBOLO. Se vi dolete per troppa felicitá, che farete nelle disgrazie?

ATTILIO. Io stimo che i nostri travagli abbino gran somiglianza e corrispondenza fra loro; ma accioché io non mi doglia di voi di quello che voi vi dolete di me, vi narrerò il tutto, e vederete che, se voi avete ragione, io non ho il torto. TRINCA. Signor Erotico, se voi non tacete, e voi, padrone, non scoprite il fatto, consumaremo il giorno; e noi abbiamo carestia di tempo.

CLERIA. Attilio, anima mia, fermatevi costí, ché son stata gran pezza aspettandovi in fenestra, per avisarvi che, se un poco piú foste tardato, non areste trovata la vostra Cleria in casa. ATTILIO. Non vi dolete, occhio mio caro. CLERIA. Qual miseria è che pareggi la mia?

FILIGENIO. Voi me l'avete resi con iniquo cambio che non sarebbe stato fatto ad un turco; ma dice bene il proverbio: che molti benefíci fanno un uomo ingrato. ALESSANDRO. Orsú, perché avete sfogata l'ira con ingiuriarmi, sarebbe di ragione, se non prima, mi dicesti la cagione di che vi dolete di me; perché le vostre parole mi sono ferite mortali che mi trapassano il core. Non mi fate piú penare.

ALBUMAZAR. Quando il sol vien verso noi dinanzi e i giorni son grandi, son naturali; quando vanno indietro e son brevi, vanno contro natura. PANDOLFO. Oimè oimè oimè! CRICCA. Oh che gran gridi! PANDOLFO. A cosí gran botta non ho cagione di dar cosí gran gridi? CRICCA. Che cosa avete, padrone? PANDOLFO. Oimè, son morto, son rovinato del tutto! CRICCA. E come? Di che vi dolete?

VIGNAROLO. Frena un poco l'ira, ché possa dire le mie ragioni. PANDOLFO. Di' ciò che vuoi. VIGNAROLO. Vorrei sapere di che vi dolete di me, se mi son affaticato tutto oggi per vostro bene? PANDOLFO. Perché mi hai tu sentenziato contro in favor d'altri! VIGNAROLO. Tacete voi ora: quando io fui giudice o consegliero che vi avesse dato sentenza contro in favor di altri?

ATTILIO. Anzi, piú trattar e conversar con lei senza sospetto; e sarò un nuovo Tantalo, star affamato in mezo i frutti che li pendono intorno, e assetato in mezo l'acqua. EROTICO. S'è forse scoverto che non sia vostra sorella? ATTILIO. Anzi, perché s'è scoverta mia sorella. EROTICO. Di che dunque vi dolete, s'è creduto quello che con tanta diligenza avete finto?

Voglioso di far pervenire alle mani di lei una risposta, sapendo come far meglio, ci pregò egli di inserirla nel nostro giornale, preceduta dalla lettera di madama. Ecco l'una e l'altra. Signore, Siete pur gente goffa voi letterati! Vi dolete che nessuna donna legga le cose vostre, e fate poi ogni possibile perché i vostri scritti non riescano leggibili.