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RONCA. E noi preghiamo i cieli che siate a parte de' nostri onori; e confessiamo che ne lodate e desiate bene oltre il nostro merito, possiamo trovar parole cosí degne per ringraziarvi del buon animo e della buona dottrina che abbiamo appresa da voi. ALBUMAZAR. Come è grande iniquitá tacere il merito, cosí è maggiore invidia ristringerlo con brevi giri di parole.

ALBUMAZAR. Quando il sol vien verso noi dinanzi e i giorni son grandi, son naturali; quando vanno indietro e son brevi, vanno contro natura. PANDOLFO. Oimè oimè oimè! CRICCA. Oh che gran gridi! PANDOLFO. A cosí gran botta non ho cagione di dar cosí gran gridi? CRICCA. Che cosa avete, padrone? PANDOLFO. Oimè, son morto, son rovinato del tutto! CRICCA. E come? Di che vi dolete?

ALBUMAZAR. Voi desiderate saper d'un certo Guglielmo si sia vivo o morto, il quale vi avea promesso Artemisia sua figlia per sposa, e voi a lui Sulpizia per contracambio, e se ne andò poi in Barberia. PANDOLFO. Me l'avete tolto dalla punta della lingua. Ma che motivi or vedo?

ALBUMAZAR. Giá da' vostri ladri cenni, furbeschi atti e muti zerghi conosco il pensiero che si ravoglie nel cuore: state attenti a' miei pronostichi e fateli riuscir veri. Avisatemi di quello che intendete; ché, acquistata che avremo la credenza appresso lui, li faremo la casa piú netta e lucida di uno specchio.

Io son per proporvi un partito. RONCA. Ecci guadagno? ALBUMAZAR. Per altro non m'affatico. RONCA. Eccoci pronti, o piú pazzi e piú bestie che mai! ALBUMAZAR. Appena giunsi qui in Napoli, che fui richiesto da uno certo Pandolfo, vecchio ricco di danari e mobili di casa, che sta innamorato; ché se l'etá gli scema il cervello, l'amor gli lo toglie in tutto.

GRAMIGNA. Se ben tutto il popolo fosse birri, bargelli, manigoldi, e tutta la cittá prigioni, galee, berline e forche, lo faremo star a segno; e doppo la nostra partita vi resterá un seminario de' pari nostri. ALBUMAZAR. Non aspettava altra risposta da' vostri animi generosi, ché giá vi veggo scolpiti nelle fronti i trofei e trionfi; restarò defraudato delle gran speranze di voi.

PANDOLFO. Come posso sperare bene, veggendo male? ALBUMAZAR. I panni e vasi di argento ho consignato al vignarolo, l'ho chiusi in quell'altra camera vicina acciò siano ben guardati. Fermatevi qui, ché fra poco lo vedrete comparire qui fuori trasformato in Guglielmo e vi restituirá il tutto. PANDOLFO. Or che faremo intanto?

ALBUMAZAR. Orsú, andate, abbiate l'uomo che volete transformare e tornate a me, ché vi renderò pago d'ogni vostro desio. PANDOLFO. Cosí facciamo. ALBUMAZAR. Io intanto col mio stromento iscioterico per via d'azimut e almicantarat cercherò felici ponti per voi. PANDOLFO. Restate in pace!

ALBUMAZAR. Or da cosí onorati princípi se non mentono i segni della fisonomia che ne' vostri fregiati visi si veggono, come uomini della prima bussola, ne ho fermo proposito che sète per ascendere a gradi piú alti e far piú gran salti e avere carichi su le spalle i maggiori che sian al mondo, ove spero a vedervi giunger presto come meritano le nostre opere.

CRICCA. Se pur guarisco non sarò mai piú uomo. ALBUMAZAR. Sei vivo per me. Or alzati, ch'è passato quell'influsso maligno, e guai a te s'io non avessi remediato. Or va' e schernisci l'arte dell'astrologia! CRICCA. Chiamatemi un medico che mi medichi. ALBUMAZAR. Ti dico che stai bene: alzati su. CRICCA. Se ben pare che stia bene cosí di fuori, di dentro son tutto morto, oh oh!