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Aggiornato: 20 giugno 2025
FORCA. E tu, come hai mangiato e bevuto stai imbriaco, ti poni a dormire, e qui bisogna star in cervello; ché una parola che non dicessi a proposito, scompigliaresti in un punto quanto s'è consertato in un anno. PANFAGO. Insegni a chi sa: attendi a quello che tocca a te e lascia il pensiero a me di quello che mi tocca. FORCA. Non ti mancherá da mangiare.
Fu il sangue mio d’invidia sì rïarso, che se veduto avesse uom farsi lieto, visto m’avresti di livore sparso. Di mia semente cotal paglia mieto; o gente umana, perché poni ’l core l
Vi vo' far conoscere che vaglio tanto oro quanto peso: son rissoluto d'ingannarlo. PIRINO. Come? dove? dimmi. FORCA. Non so il come né il dove: levo di qua, pono di lá; sconcia di qua, poni di lá, andrò tanto girando col cervello, che qualche cosa sará. Ma ecco tuo padre, conosco negli occhi il fuoco della còlera: scostati da me, che non ci veggia insieme.
Penso ora che lo spirito, per piú compiutamente servirti, e nel sesso e ne l'abito di donna ha mandato a te lo amante tuo. Ma poni fine al dolor tuo perché chi femina l'ha fatto ancor maschio può rifarlo. FULVIA. Tutta consolar mi sento, parendomi che il fatto passato sia come tu di'. Ma, se tu Lidio mio intero mi rendi, li denari, la robba e ciò che io ho fia tuo.
PEDANTE. I vini dunque sono auriculati? LARDONE. «Vin d'una orecchia» è quello che è eccellente, che quando l'hai bevuto, va in testa e inchini la testa sopra alla spalla; ma quando si scuote la testa dall'una parte all'altra, è segno che non val nulla. Oste, poni dell'altro vino. PEDANTE. Che rumore è questo che fai con la gola, glo glo, quando ingiotti?
Ma il giovane tristo più per questa desolazione dell'amica che pel proprio destino, procurava di lenire tanta amarezza. Poni in calma i turbolenti affetti, e piega il capo alla necessit
Al primo sfodrar della spada fatti innanzi con questo mandritto sul capo, con questo roverscio alle tempie, poi caricagli sopra con un piede inanzi, che passaresti una torre da un canto all'altro. SQUADRA. Padrone, riponete la spada or che siete in furore, che non m'ammazzate. TRASILOGO. Orsú, poni effetto a questo falso filo, ché saresti per sbarattar la scrima.
Il curato... oh Dio mio, concedimi la forza di dir l'ultime parole!... il curato mi ha fatto cuore, m'ha promesse orazioni... e senti, mamma, vedo di non saper più parlare... dato che il povero Pierio... sì, anche di lui vo' ricordarmi... se mai, lo faccia Iddio! se mai riuscisse a fuggir dal bagno.... se ritornasse libero... ebbene, allora dagli un bacio per me, per la sua cara sorella! povero Pierio mio! quant'eri buono!... ed alla memoria pure del mio genitore, del tuo Bizco; non tremare, mamma; alla memoria di lui poni un sasso... un ricordo povero ma affettuoso... laggiù nel cimitero... ed a me... una croce!
TRASIMACO. L'hai detto che son un Rodomonte, un Alessandro Magno de' nostri tempi? non rispondi, furfante? GULONE. Non posso far ragionamenti, per la gola secca che ho. TRASIMACO. Tu a me menti per la gola? Mira a che pericolo ti poni. GULONE. Dico che, per la gola secca che ho, non posso formar ragionamenti. TRASIMACO. In somma hai conchiuso le nozze?
DON IGNAZIO. Non vedi? lá dove l'aria è piú tranquilla e tutto gioisce, ivi è la sua persona. SIMBOLO. Ah, ah, ah! Ecco don Flaminio, state in cervello. DON FLAMINIO. Oh, signor don Ignazio, voi siate il ben trovato! DON IGNAZIO. E voi il benvenuto, carissimo fratello! DON FLAMINIO. Poni mano a darmi una buona mancia, ché onoratissimamente me l'ho guadagnata.
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