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Tu stesso, per un tuo disordinato appetito, per un vano desiderio ed ostinata perfidia, mi hai sempre infastidita. Sarei veramente crudele, se mi ti fossi mostrata al principio pietosa e poi divenuta ingrata, se avessi promesso amarti e poi ritirata mi fussi...». O cuor di marmo, o anima di bronzo, o petto di diamante! deh, perché non vo a precipitarmi? LARDONE. Veramente una turca, una cagna.

ANTIFILO. Dimmi, Lardone mio, come stia. LARDONE. Io non son medico che toccandovi il polso lo potessi sapere. ANTIFILO. Lo sai meglio d'un medico: se mi rechi lieta risposta alla mia lettera, son vivo; se mala, son disperato della vita. Onde se vedrò con effetto che m'hai servito bene, ti farò conoscere che da me sarai servito assai meglio. LARDONE. Ho dato la lettera ad Altilia.

Tratta con Lima, la sua balia, archivio de' nostri secreti amorosi, e con Lardone parasito, che oprino appo lei in che luogo ed ora possiamo ritrovarci insieme, acciò possa satollar questi occhi famelici della sua vista. E se pur questo mi negasse, che miri almeno nel mio volto l'opera del suo valore. Del che se tu mi compiaci, ti compiacerai poi d'avermi compiaciuto.

Diteci, oste, avete in questa vostra osteria una donzella con una vecchia, che abbiamo lasciato qui, quando siamo tornati a dietro a portar l'altre robbe? TEDESCO. Nelle ostelerie non stare putte, vecchie, merdate. Andate a fare i fatti vostri. LARDONE. Almeno dateci alloggiamento, ché a quest'ora non abbiamo dove a dar di capo.

LARDONE. S'io dico , non farai tu, ma il boia, e tu vedrai. CAPPIO. Finiamola! In Surrento una vitella ha partorito una vitelluccia, e son due madri a lattarla. LARDONE. A queste figlianze diverrei compare io volentieri.

LARDONE. Il manco pensiero che hanno i letterati di questi tempi è di scrivere i fatti tuoi. PEDANTE. Il tuo male con una ricetta si guarirá. LARDONE. E quale? PEDANTE. «Recipe due capponi, l'uno arrosto e l'altro boglito, cento ova dure, due rotuli di carne di vitella, un piatto di maccheroni; pongasi in una pignatta e boglia a sufficienza; quattro fiaschi di vino: et fiat cibus et potus».

ANTIFILO. E come debbo crederlo? LARDONE. Ecco la risposta per testimonio che gli l'ho data. ANTIFILO. E perché non me la dái, o illustrissimo mio Lardone? LARDONE. E tu perché non mi dái la mancia, o eccellentissimo mio Antifilo? ANTIFILO. Te la darò doppo letta. LARDONE. Doppo che l'innamorato ha conseguito l'effetto con la sua amata, non si ragiona piú de' mezi. ANTIFILO. Che vorresti dunque?

LARDONE. Certo, che dovreste odiarla quanto l'amate. ANTIFILO. Ahi! che non posso amar altra che quella che da' primi anni cominciai ad amare. «... Ed acciò non abbiate piú a molestarmi, io vi manifesto il mio cuore: io ho dato ad altri il mio cuore.

GIACOMINO. Pártiti or ora con quella prestezza che si richiede al mio desiderio, ché la prestezza e diligenza è madre del buon esito delle cose. CAPPIO. Entrate, ch'io provedendomi d'alcune cose per il viaggio, mi porrò in camino. ANTIFILO. Ma non è Lardon quel che veggio, o forse il desiderio me lo fa cosí parere? LARDONE. Lo vedi veramente; e v'ho servito secondo il vostro desiderio.

LARDONE. Non son questi vini da bersi subito, ma prima farci un pochetto l'amore; poi accostarselo alla bocca pian piano con una maestá grande, poi con una regal riverenza sporger le labra fuori e gire ad incontrarlo, torne un saggio e darlo alle prime labra; poi un altro che ne bagni la lingua e il palato, poi spargerlo per tutta la bocca, e succhiarlo a poco a poco e non traboccarlo giú nel ventre come fusse una medicina; e bevuto che n'arai un bicchiero, sta contemplando la battaglia che fan le membra, che tutte vogliono esser le prime a gustarlo: il cuor, primo, ne cava la quinta essenza, il polmone tutto se ci tuffa dentro, le budelle se ne riempiono e la milza all'ultimo se ne succhia la parte sua.