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GIACOMINO. Pártiti or ora con quella prestezza che si richiede al mio desiderio, ché la prestezza e diligenza è madre del buon esito delle cose. CAPPIO. Entrate, ch'io provedendomi d'alcune cose per il viaggio, mi porrò in camino. ANTIFILO. Ma non è Lardon quel che veggio, o forse il desiderio me lo fa cosí parere? LARDONE. Lo vedi veramente; e v'ho servito secondo il vostro desiderio.

LIMOFORO. Andiamo. ANTIFILO. Io in tanto aggiaccio e ardo: aggiaccio per la tema e ardo per la speranza. PEDANTE. Ite bonis avibus. Figlia, entriamo in casa. GIACOMINO. Una bugia ben detta è madre dell'inganno... PSEUDONIMO.

Sparito è il mio sole, il mondo è in tenebre: come andrò dove debbo, senza occhi e senza luce? LIMOFORO. Dimmi, Lardone, minutamente e veramente il fatto come è andato, ch'esser non può che tu non abbi tenuto le mani in questa pasta. ANTIFILO. Comincia a narrar il fatto per lo filo.

I signori del governo, per remediare alla commune ruina, strassinavano gli appestati su un carro dalle proprie case ad un lazzaretto a San Gennaro, poco lontano da Napoli, dove si governavano, e morendo si seppellivano in una grotta quivi appresso. Ritrovandosi impestato Limoforo suo padre e Cleria sua madre e Antifilo suo fratello, furo anch'essi come gli altri portati in quel loco.

ANTIFILO. Dimmi, Lardone mio, come stia. LARDONE. Io non son medico che toccandovi il polso lo potessi sapere. ANTIFILO. Lo sai meglio d'un medico: se mi rechi lieta risposta alla mia lettera, son vivo; se mala, son disperato della vita. Onde se vedrò con effetto che m'hai servito bene, ti farò conoscere che da me sarai servito assai meglio. LARDONE. Ho dato la lettera ad Altilia.

M'avete talmente guasto lo stomaco che non basteranno quanti impiastri e medicine ha una speziaria a ristorarmelo; ma io non sarò tanto goffo che mi lasci morir di fame dentro un forno di pane di sete in un magazzino di vino. Scoprirò il fatto ad Antifilo; e la gelosia l'infiammerá talmente alla vendetta che vedrò fulminar le spade su gli occhi e i pugnali su le gole fra loro.

LARDONE. Due scudi almeno. ANTIFILO. Eccoti due scudi l'un sopra l'altro. LARDONE. Poco mi si che l'un stia sopra o sotto dell'altro. Ma che son scudi ch'han ali alle spalle ed a' piedi e corrono e volan via? ANTIFILO. O Lardone, se qua dentro risplenderá qualche favilla di speranza, vedrai la mia liberalitá in altra forma. LARDONE. Leggete e vedrete.

ANTIFILO. O sorella, quanto devi ringraziare il Cielo che mi fosti cosí disamorevole e ingiuriosa con tanti improperi; ché se benigna mi fosti stata, avendoti poi riconosciuta per sorella, mi saresti stata amara e acerbissima: e chi può opporsi a' gran secreti del Cielo?

ANTIFILO. E come debbo crederlo? LARDONE. Ecco la risposta per testimonio che gli l'ho data. ANTIFILO. E perché non me la dái, o illustrissimo mio Lardone? LARDONE. E tu perché non mi dái la mancia, o eccellentissimo mio Antifilo? ANTIFILO. Te la darò doppo letta. LARDONE. Doppo che l'innamorato ha conseguito l'effetto con la sua amata, non si ragiona piú de' mezi. ANTIFILO. Che vorresti dunque?

TEDESCO. Duie ducate per le vine bevute, mez ducate per la stanza delle donne e mez altre per il buon pro vi fazze. LIMOFORO. Eccoli. ANTIFILO. Maestro, come dite che vi sieno state trabalzate le donne, se le trovate nel luogo dove le lasciaste? LIMOFORO. Non ci ha detto Lardone che Giacomino l'avea ricevute in casa sua, mettendo la sua casa in taberna?