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Aggiornato: 20 maggio 2025


PANURGO. Scherzava cosí con voi, intendeva per le podagre due figlie che aveva da maritare. NARTICOFORO. Oh lepidum caput! PANURGO. Ma sia come si vogli, son al vostro comando. NARTICOFORO. Ecco son venuto a tòrvi questa podagra e addossarla al mio figliuolo. PANURGO. Di questo mi doglio ben, che v'abbiate tolto invano questo travaglio.

MORFEO. Eccomi all'ubidire. PANURGO. Togliamcele calde calde. MORFEO. Presto presto, che non puzzino. PANURGO. Nasconditi, ascolta e vieni a tempo. MORFEO. Mi nasconderò, ascoltarò e uscirò a tempo dall'imboscata. PELAMATTI. Non si vidde al mondo mai il piú bizzarro uomo di maestro Rampino.

Volgeti a me, parlami sine perplexitate: sei Gerasto come hai detto a me, o Narticoforo come hai detto a costui? PANURGO. Mira con che arroganza mi parla! hai tu qualche imperio sovra di me, che sia forzato a dirti io chi sia? Io son chi piace essere a me. NARTICOFORO. Io non mi curo che tu sia chi piace essere a te, ma non vorrei che dicessi che sei me.

PELAMATTI. La céra mi par cattiva e il mele deve essere assai peggiore, perché mi hai ciera di un gran ribaldo. Poiché sete venuto adesso da mastro Rampino, ditemi, dove sta sua bottega? PANURGO. Te lo dirò.

ALESSIO. A questo potrò servirti agevolmente; che Facio mio padre se n'ha fatto far certe nuove per andare a leggere a Salerno nello Studio, e or sta in casa aspettando maestro Rampino che gli le porti. Partito che sará, che fia tra poche ore, ti potrò accomodar di quelle che lascia, per parecchi giorni. PANURGO. Per chi le mandarete?

PANURGO. Orsú, lasciate che ritiri me stesso un poco in consiglio secreto; suoni il tamburro e chiami sotto l'insegna le trappole, gl'inganni, le finzioni, le furfantarie; facci la rassegna e metta l'essercito in rassetto, accioché diamo l'assalto a questo vecchio e lo poniamo in tanti travagli che a suo dispetto lo facciamo cadere.

A me il male ha profundato le parti di dietro, e sono incancherite. Onde la poveretta non bisogna che piú si mariti, ma che si muoia in casa overo in un monistero, benché sian brevi i giorni suoi. NARTICOFORO. Perché prima che mi fusse accinto a questo itinere, non mi avete reso cerziore di questo fatto? PANURGO. Che strada avete voi fatta al venire?

ALESSIO. Or queste parole , che mi danno fastidio; che non potrei aver consolazione a par di quella che ricevo, che Essandro si avaglia dell'opra mia. PANURGO. Ma io veggio Morfeo parasito che vien verso qua; non potrebbe comparir a tempo piú opportuno. MORFEO parasito, PANURGO.

PELAMATTI. Di che etá è questo maestro Rampino? PANURGO. Non l'ho mirato in bocca. Ma m'accorgo che tu hai poca voglia di darmele. PELAMATTI. Perché n'hai soverchia di riceverle. PANURGO. Come se dicessi ch'io ti volessi rubar queste vesti. PELAMATTI. Come tu lo dicessi e io me lo vedessi. PANURGO. Altri che tu m'arebbe credito di mille scudi.

PANURGO. Vi chieggio una grazia, Gerasto, che possa baciar mio figlio, gli dia questa allegrezza e non lo facci piú disperare. GERASTO. Eccovi la chiave; quella è la stanza terrena. APOLLIONE. Entriamo. PANURGO. Essandro, padron mio caro, come state? ESSANDRO. Accompagnato da una amarissima compagnia di pensieri. PANURGO. Non domandi di tuoi successi? ESSANDRO. Per allungar la speranza!

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