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Aggiornato: 20 giugno 2025
APOLLIONE. Questi è veramente mio fratello; né fu tanta la pena che ho sentito in questa sua assenza, che non sia maggior la gioia che adesso ho che lo riveggo. Gerasto, padron caro, costui è padre di chi sta in casa vostra. GERASTO. Talché ugualmente e dal padre e dal figliuolo son stato assassinato? PANURGO. E può esser che io sia stato ruffiano a mio figlio?
NARTICOFORO. Sí bene, non desidero saper altro se non se sète lui o me. PANURGO. Diavolo, fammi essere altro se non che io. GERASTO. Questo sappiamo bene; noi disiamo sapere voi chi sète. NARTICOFORO. E per questo vi dimandiamo: voi chi sète? PANURGO. Io son io, né posso esser altro che io. Se tu sei me, io non posso esser io; e se io non son io, sarò un altro; e quello chi è o chi fu?
PANURGO. I giorni a dietro, medicando lo spedale degli Incurabili, o fusse l'aria infetta di quel luogo o qualche occulta specie di peste, come tengo ben fermo, mi prese tutto e mi venne un spedal di malattie adosso.
PANURGO. Che dunque ha dato? ESSANDRO.... marito a Cleria mia. Ecco venuto quel giorno che ho temuto e portato tre anni attraversato nel core! ecco la separazione e il fine di nostri amori! Cesseranno i ragionamenti, i baci e la dolcissima conversazione! PANURGO. Non piangete. ESSANDRO. La fiamma è cosí ardente nel petto che, se non avessi queste lacrime, abbruggiarebbe il cervello.
PANURGO. Non mi parea convenevole, trattando di matrimoni e allegrezze, mescolarvi con augúri di morti.
PANURGO. In un grabátulo, in vinti giorni; e da che vi si puose dentro, non l'abbiamo cavato se non adesso; e se gli si aggrava qui alcuno accidente, exalará l'anima. Onde exoptarei che decumbesse in un lettulo e vi si riposasse paulisper, e li facessimo qualche rimedio; e domane all'alba ambulassimo patriam versus.
Se tu non vuoi dirci io chi sia né costui né tu stesso, dicci almeno, chi sei di noi duo. GERASTO. Di grazia, fatene questo piacere, chi sei di noi duo? PANURGO. V'ho detto dieci volte ch'io son io e voi sète voi, né io posso essere alcun di voi. NARTICOFORO. Oh, non posso far rispondere costui ad petita!
PANURGO. Certo, Gerasto, che voi non pigliate la cosa per il suo verso. GERASTO. Che vuol dir che non piglio la cosa a verso? Tu non rispondi a proposito. PANURGO. Che volete che vi risponda se non quello che sempre vi ho detto? GERASTO. Che m'hai tu detto mai se non certe parole che l'una non attacca con l'altra? PANURGO. Certo non è la cosa come pensate, vi dico.
PANURGO. Anzi a te starebbono buoni questi duo luoghi, accioché quando l'uno ti fosse venuto a noia, mutassi nell'altro fresco e senza pagar pigione. PELAMATTI. Poiché aspettavate me, come mi chiamo? PANURGO. Malaventura. PELAMATTI. Mala ventura arei da vero, se te le dessi. Io mi chiamo Pelamatti. PANURGO. Tu ti chiami cosí, per scherzo, Pelamatti, perché poco pelo metti in barba.
Gentiluomo, qui m'invia Gerasto medico, che facci un serviggiale ad un forastiero ammalato. Se sète di casa, mi sapreste insegnar dove abbiti? PANURGO. Entra in questa camera terrena, presso la scala, che lo troverai giacente infermo. Di grazia, disponetelo prima con belle parole, poi fate l'ufficio vostro. SPEZIALE. Volentieri. Non mi darete voi due legna, che possa riscaldar questo pignatino?
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