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Aggiornato: 20 maggio 2025
Senza esser visto, l'ho rubbata e ingoiata che non ne trovará un osso. Accostatevi, ascoltate che mugghie: oha, oha. ESSANDRO. Bene. MORFEO. In casa son molte robbe e s'apparecchia un banchetto da re, il tutto è in ordine, e tra poco saremo chiamati a tavola. PANURGO. Padrone, voi state mezzo morto.
NEPITA fantesca ESSANDRO giovane, sotto abito e nome di Fioretta fantesca CLERIA giovane innamorata GERASTO vecchio PANURGO servo di Essandro FACIO dottor di legge ALESSIO giovane PELAMATTI servo SANTINA moglie di Gerasto MORFEO parasito GRANCHIO servo di Narticoforo NARTICOFORO pedante Speciale Capitan DANTE spagnuolo Capitan PANTALEONE spagnuolo APOLLIONE vecchio TOFANO servo.
ESSANDRO. Il misero non crede a nulla che di ben gli sia detto. PANURGO. Vieni, corri, vola e vedi il tutto vòlto in allegrezza. ESSANDRO. Rispondi a quanto ti domando, parla piú chiaramente il tutto: Cleria è fatta mia? PANURGO. Sí. ESSANDRO. Gerasto m'ha perdonato? PANURGO. Sí. ESSANDRO. È venuto mio zio Apollione? PANURGO. Sí. ESSANDRO. Mio padre ancora? PANURGO. Sí.
PANURGO. A casa, senza far altro, accioché quando stimi che cerchi le cose, mi trovi a casa. ESSANDRO. Burli? di grazia, vola. PANURGO. Dammi l'ale, che volarò. Non dubitate, sarò io colá prima che voi. Ma prima vedrò se potrò trovar Alessio per le vesti. ESSANDRO. Io fra tanto farò il segno, poiché non è in fenestra. Fis, fis. La sento venire.
PANURGO. Ma torniamo a casa, che il tempo manca e le parole avanzano. E sovra tutto vorrei che appena accennandogli il principio, capisse il negozio e m'intendesse a cenno. MORFEO. Anzi io in mirarti in faccia so quello che cerchi da me. PANURGO. Dici da vero? MORFEO. Piú che da vero. PANURGO. E tu conoscesti la veritá mai?
PANURGO. Pregheremo Alessio nostro amico, overo ne allogheremo alcune, se ci mancano. ESSANDRO. Qui bisogna prestezza, ché la ruina è vicina. Vai e ritrova il parasito e Alessio, e reca le vesti a casa tanto presto che quando io stimi che cerchi le cose, ti trovi a casa. PANURGO. Me ne vo, dunque. ESSANDRO. Dove?
Fa' vela quanto tu vuoi, ché con vento di sospiri mai si condusse nave in porto. Bisogna audacia contro la fortuna. Un buono animo ne' mali è un mezzo male. Non vi perdete d'animo! ESSANDRO. L'animo non è possibile che piú lo perda. PANURGO. Perché? ESSANDRO. Perché è giá perso. PANURGO. Richiamatelo a voi. ESSANDRO. È gito in essiglio, va vagando troppo lontano.
PANURGO. Andiamo, per la strada voi mi narrerete il successo, e pigliaremo qualche partito a disturbar questo matrimonio. FACIO dottor di leggi.
PANURGO. Bisogna che tu finga esser uno sposo; e sconcierai la bocca, il viso e tutta la persona, di sorte che veggendoti il padre della sposa ti prenda a schivo e rivochi lo sponsalizio. MORFEO. Se non mi saprò sconciar bene, piglia una ascia e sconciami a tuo modo. Ma, di grazia, avendomi a sconciar la bocca, fammi mangiar prima.
GRANCHIO. E pur volete battere le porte: avete la rabbia con i padroni e la volete sfogar con le porte. NARTICOFORO. Se mi fai irascere, batterò te per lei. GRANCHIO. Ecco s'apre di nuovo. O iudiciosa porta, quanto devi esser savia, poiché come stai per esser battuta, t'apri da te stessa. PANURGO. O amico colendissimo, ben venghi il mio Narticoforo romano!
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