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Aggiornato: 20 maggio 2025


PANURGO. La via che avevi presa per gir all'altro mondo, lasciala, e prendi quella per gir alla casa di Cleria, che è tua moglie. ESSANDRO. Come moglie? PANURGO. In carne e ossa. ESSANDRO. Burli in cosa dove va la vita. PANURGO. È venuto Apollione tuo zio e riconosciutosi con tuo padre; son stati d'accordo con Gerasto e ti han concessa Cleria.

PANURGO. Sète forse stato discoverto per maschio? ESSANDRO. Peggio. PANURGO. Il vecchio vi ha cacciato di casa? ESSANDRO. Peggio. PANURGO. Che cosa vi può accader peggio di questa? Avete confidato in me maggiori secreti, potrete confidar ancor questo.

PANURGO. Sono in vostro potere, fate di me quel che vi piace; e se questo vi par poco, giungetevi altrotanto, ch'io soffrirò ogni supplicio. Ma di grazia, ditemi, di che vi dolete di me? GERASTO. Come! di che mi doglio di te?

ESSANDRO. Ho adesso quell'istesso animo, che ho avuto per lo passato, di fidarmi nella tua fede; mi parrebbe aver compita felicitá, se non ne facesse a te parte. PANURGO. Dite, ché forse ci troveremo rimedio. ESSANDRO. Gerasto... PANURGO. Che cosa Gerasto? ESSANDRO.... ha pur... PANURGO. Che cosa ave? ESSANDRO.... dato... PANURGO. Bastonate a voi, forse? ESSANDRO. Volesselo Iddio!

ESSANDRO. E l'altro mezzo assai peggio che vivo, anzi son morto tutto, e non ci è altro di vivo che il core, capace e pieno d'infiniti dolori. MORFEO. Siete forse stato in cucina, ché il fumo vi fa piangere? ESSANDRO. Voi ridete, ché non avete ancora inteso il vostro male. PANURGO. M'uccidete tacendo. ESSANDRO. Vuoi farmi un piacere, e te n'arò molto obligo? PANURGO. Voglio. ESSANDRO. Ammazzami.

PANURGO. Haigli tu rotta la testa, come t'ho detto, in farmi aspettar tutta questa mattina? MORFEO. Signor no, perché mi disse avervele inviate, e datomi tante buone ragioni che mi parve degno di scusa. PANURGO. Io la vo' adesso rompere a te che non fai quello che ti comando. MORFEO. Eh, padron, per amor di Dio, quel che non è fatto, pur siamo a tempo di farlo: ci andrò adesso.

PANURGO. È un piacevolissimo buffone che altro di danno non ará potuto fare alla casa che di alcuna cosa da mangiare. Eccoci per rimediare al tutto. GERASTO. Orsú, perché l'inganno avea abbagliato a tutti e ci sono occorsi atti e parole in pregiudicio commune, si perdoni l'un l'altro. NARTICOFORO. Cosí si facci. PANURGO. Cosí si facci.

Almeno l'avessi saputo un anno prima, ché a poco a poco mi avessi avezzo a disamarla. PANURGO servo, ESSANDRO. PANURGO. Veggio Essandro di mala voglia. Padron caro, che cosa avete? ESSANDRO. Oimè, son morto! PANURGO. Cattivo principio! cada questo augurio sovra chi ci vuol male. ESSANDRO. È pur caduto sovra di me, ché non è misero stato col quale non cambiassi il mio.

Come la viddi ben accesa, e me ne pregò molte volte, me n'andai a casa di Panurgo mio servo che trattengo in una osteria; e vestitomi delle mie vesti da maschio, passeggiandole intorno la casa, conobbi chiaramente ch'ella non poco godeva della mia vista. Mi spoglio le vesti da maschio, mi rivesto la gonna e torno a casa.

GERASTO. O che tu mi fai rodere di rabbia! La cosa non è come pensate..., non la pigliate a verso! Io non posso cavar costrutto di quel che dici. GERASTO. Che rispondi? PANURGO. Dico che quando questa mattina.... GERASTO. Non ti domando di questo, io. TOFANO. Gentiluomo, Alessio mio padrone vi manda le vesti che questa mattina gli chiedeste con tanta istanza;...

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