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Aggiornato: 7 maggio 2025


Ed io son cosí ben da Modana come voi e figliuol di buon padre e di buona casa come voi. GHERARDO. Gli è bella, in fine. Se non c'è altro errore che quanto si vede, io la vo' pigliare. VIRGINIO. E perché ti sei partita da tuo padre e dal luogo dove io t'avevo raccomandata? FABRIZIO. Me non raccommandaste voi mai, ch'io sappia; ma il partir mi fu forza. VIRGINIO. Forza, eh? e chi ti sforzò?

PASQUELLA. So ch'io sentivo dir cosí a lei. GHERARDO. Tu vuoi dire ipocrita, tu. PASQUELLA. Forse. Ma vi dico che sua figliuola sará ancor piú di lei. GHERARDO. Dio il voglia. VIRGINIO. Oh Gherardo, Gherardo! Questa è colei di che aviam ragionato. Oh scontento padre! Forse che si nasconde o che si fugge per avermi veduto? Accostiamoglici. GHERARDO. Vedi di non far errore, ché forse non è essa.

Che sembro? Mortella. Quel che confessi ora? Costanza. Che confesso? Mortella. Ah, è orribile. Bandino solleva la portiera, e il padrigno entra nella stanza con lui. Per un istante, si trovano l’uno a fianco dell’altro. Costanza si volge come a un’apparizione che la impietri. Non parla più, sembra che non respiri più. La figlia abbassa la voce. Guardali. Gherardo Ismera.

Il 29 ottobre la mannaia troncava la testa di Corradino per la prima, poi quelle di Federigo, dei valorosi conti della Gherardesca, del generoso Galvano Lancia, fratello di quella bella Bianca che aveva partorito Manfredi a Federigo il Grande e per ultimo quelle de' suoi giovani figli, Galeotto e Gherardo che erano stati poco prima strangolati nelle braccia del padre.

PASQUELLA. Come tu hai fatto il tuo. Orsú! Io vo. FLAMMINIO. A Gherardo la vuol maritare? CLEMENZIA. , trista a me! Vedi se questa povera giovane è sventurata. FLAMMINIO. Tanto avesse egli vita quanto l'averá mai. In fine, Clemenzia, io credo che questa sia certamente volontá di Dio che abbia avuto pietá di questa virtuosa giovane e dell'anima mia; ch'ella non vada in perdizione.

Ella si svincola selvaggiamente. Mortella. M’avete quasi slogato i polsi. Siete vile. Ma non credete ch’io mi svenga. Siete perduto. Non potrete più riprendere la maschera del tentatore sapiente. Avete omai la faccia dell’altro, sino all’ora della morte: la faccia dell’assassino. Gherardo Ismera. Ma, o insensata, dov’è per voi la prova, la larva d’una prova? Un’ombra d’indizio almeno! Mortella.

CLEMENZIA. Perché la tenete, tutto questo anno, in su le pratiche di volerla o di non volerla? GHERARDO. Che! Pensasi Lelia che rimanga da me, adunque? S'io non sollecito ogni suo padre, se non è la maggior voglia ch'io abbi al mondo, s'io non volesse che si facesse piú presto oggi che domane, che tu mi vegga, fra pochi , sovr'una bara. CLEMENZIA. E questo non mancará, se a Dio piace.

Lo riconosce, e trattiene a stento il grido, distaccandosi da Giana, indietreggiando ancóra. Ah, è lui, è lui! L’ospite si scopre il capo e s’avanza a traverso il vestibolo. È padrone di , nella sua semplice cortesia; ma qualche accento della sua voce tradisce il suo turbamento dominato. Gherardo Ismera. Mi perdoni, signora, se entro così. Sono io, Gherardo Ismera.

Non c’è nessuno qui, davanti, a cui dobbiate conservare l’attitudine crudele che, per un pervertimento non del tutto nuovo, avete imposta a voi stessa. Non vi ostinate a falsare la vostra anima, che era tanto sincera. Consideratemi come un medico sagace e tuttavia come un amico affettuoso. Siamo soli, siamo noi due soli. Mortella. Credete che siamo noi due soli? Gherardo Ismera. Sembra. Mortella.

VIRGINIO. Con chi si pensa avere a fare? Rendemi la mia figliuola. GHERARDO. Scannarò te e lei. PEDANTE. Che cosa ha da far questo gentiluomo con esso voi? VIRGINIO. Non so, io; se non che, poco fa, gli messi Lelia mia figliuola in casa, ché la voleva per moglie. Ora voi vedete. E temo non gli facci dispiacere. PEDANTE. Ah, ah, gentiluomo! Non si vuole con l'arme! Con l'arme?

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