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Aggiornato: 7 giugno 2025
VIRGINIO. Come s'io il so? dove vuo' tu ch'ella sia? che domanda è questa? GHERARDO. Dirotti. Son stato certe volte lá per mie facende ed honne domandato; e mai non l'ho potuta vedere; e alcune mi hanno detto ch'ella non v'è. VIRGINIO. Gli è perché quelle buone madri la vorrebon far monaca per redare, dopo la morte mia, questo poco di resto.
In que' sei mesi si eran maneggiate meglio che 36 mille once, ritratte da varie partite, tra le quali sono notevoli: once 10,175 di tasse straordinarie, once 16,319 per decime pagate dal papa e da mercatanti lucchesi, once 500 prestate del suo dal cardinal Gherardo, once 695 da mercatanti romani a usura, che sono per l'argento impegnato come nel docum.
GHERARDO. Adagio! VIRGINIO. Entra costí in casa, sciaurata! che fu ben maladetto il latte che tua madre ti porse il dí ch'io t'ingenerai. FABRIZIO. O buon vecchio, avete voi figliuoli, parenti o amici in questa terra a' quali appartenga aver cura di voi? VIRGINIO. Guarda che risposta! Perché dici cotesto?
Il medico, il dottor Securani, Paolo Securani... Qualche ora fa, era qui; e il mio male era il suo male. Egli si lascia cadere su una sedia, come in una specie d’ottenebrazione repentina. Gherardo Ismera. Sì, v’è un contagio del delirio. Mortella.
GHERARDO. Come «grossa»? Se gli è cotesto, tientela; ch'io, per me, non la voglio. VIRGINIO. Oh! oh! Io dico che gli è fatta giá una donna. O maestro, io non v'ho ancor baciato. PEDANTE. Padrone, io non dico per vantarmi; ma io ho fatto per il vostro figliuolo... so ben io. E n'ho avuta cagione, ch'io non lo richiesi mai di cosa che subito egli non s'inchinasse a farla.
Della grande specie solitaria, di quegli che voglion vincere in silenzio una virtù dinanzi a cui possano inginocchiarsi. La Vittoria in ginocchio! Una tale imagine sembra creata dall’ispirazione del suo spirito. Giana. Più che umano, dunque. Gherardo Ismera. Con un esempio più che umano, egli mi mostrò che comandare e obbedire sono le due arti più difficili dell’anima libera. Giana.
Siete stanco, stanco per aver preso troppo, per voler ancóra tutto prendere; siete stremato, e non volete confessarlo. Quando siete solo, v’accasciate súbito. Vi spiavo. Gherardo Ismera. Ah, fate questo? Mortella.
Mortella. Porterò la mia nella mia mano, stasera, come un fuoco bianco. E la vostra? Gherardo Ismera. Attendo che me ne nasca una nuova. Mortella. Da un nuovo orrore? o dalla morte? Gherardo Ismera. Che è la morte? «Credete veramente che si possa morire?». È una vostra antica domanda. Mortella. «Si può uccidere». È la vostra risposta. Ma, se foste prossimo alla morte, potreste ancóra mentire?
FABRIZIO. Cotesto non farò io. GHERARDO. Perché? FABRIZIO. Perché non voglio entrar per le case d'altri. GHERARDO. Costei sará una Penelope, beato a me! VIRGINIO. Non diss'io che la mia figliuola era bella e buona? GHERARDO. L'abito 'l mostra. VIRGINIO. Ti vo' dir solamente una parola. FABRIZIO. Ditela di fuore. GHERARDO. Eh che non sta bene! Questa casa è la tua; tu hai da esser la mia moglie.
PASQUELLA. Avete veduto che sia maschio? GHERARDO. Sí, dico: ché, aprendo l'uscio a un tratto, egli s'era spogliato in giubbone e non ebbe tempo a coprirsi. PASQUELLA. Vedeste voi ogni cosa? Eh! Mirate che gli è femina. GHERARDO. Io dico che gli è maschio e bastarebbe a far due maschi. PASQUELLA. Che dice Isabella? GHERARDO. Che vuo' tu ch'ella dica? Svergognato a me!
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