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Aggiornato: 13 giugno 2025
Se la fortuna mi favorisse in farmi trovar Pardo, il mio marito, e Attilio, il mio figlio, vivi, le perdonarei la servitú di vent'anni e la perdita di Cleria mia figlia; mi faria dimenticar de tutti i passati disaggi; né io arei che piú desiderar in questa vita. Ma veggio un giovane venir costá; dimanderò di lui.
PANURGO. La via che avevi presa per gir all'altro mondo, lasciala, e prendi quella per gir alla casa di Cleria, che è tua moglie. ESSANDRO. Come moglie? PANURGO. In carne e ossa. ESSANDRO. Burli in cosa dove va la vita. PANURGO. È venuto Apollione tuo zio e riconosciutosi con tuo padre; son stati d'accordo con Gerasto e ti han concessa Cleria.
PANURGO. Io non posso farvi intrare in casa mia, ché per esservi dentro la peste, come vi ho detto, con accostarvi solo alla porta o toccar queste mura, vi viene adosso la medema infirmitade: onde mi dispero di non potervi onorare, come è mio debito, meno di un becchier d'acqua. Ma farò che Cleria mia venghi giú, su la porta.
Erotico caro, poiché nelle angustie mi sète stato caro compagno, vo' che ancora mi siate nelle prospere: non potendo con alcun premio meritar la vostra affezione, vi prometto Cleria per moglie, poiché per bellezza, per etade e per altre nobilissime parti, l'uno è ben degno dell'altra.
Appresso s'ebbe nuova che, da alcune fuste di turchi rapite, erano state condotte in Constantinopoli. Duo anni sono, ebbe nuova di Costanza sua moglie, ch'era schiava di un bassá, che, per esser decrepita, l'avrebbe venduta a buona derata; e che Cleria serviva un sangiacco fuor di Costantinopoli.
SANTINA. Fate che quel gatto rosso si castri, e se non potete, strangolatelo e buttatelo in un cesso, come merita; che non vo' che vada su per i coppi de' vicini. SANTINA. Nepita, Nepita! NEPITA. Signora. SANTINA. Vien qui. SANTINA. Come hai tardato tanto? NEPITA. Avea il pistone in mano, l'ho forbito e riposto. SANTINA. Dove è Fioretta? NEPITA. In camera con Cleria. E che fa?
PANURGO. Che dunque ha dato? ESSANDRO.... marito a Cleria mia. Ecco venuto quel giorno che ho temuto e portato tre anni attraversato nel core! ecco la separazione e il fine di nostri amori! Cesseranno i ragionamenti, i baci e la dolcissima conversazione! PANURGO. Non piangete. ESSANDRO. La fiamma è cosí ardente nel petto che, se non avessi queste lacrime, abbruggiarebbe il cervello.
EROTICO. Io perda la vista degli occhi miei, se per altro gli ho a caro, che per mirar la sua bellezza, e se posso mirar altro che lei. BALIA. Vi ricorda che se ben non è bella come Cleria, che voi ne sète cagione. Che se gli occhi suoi son scoloriti, e i giri d'intorno lividi, ricordatevi delle lacrime che l'avete fatto spargere, e quanto il sonno è stato lontano da loro.
PANURGO. Narticoforo caro, eccovi un poco di aceto, ungetevi le nari, togliete questa balla di profumi. NARTICOFORO. O mi Deus, o Iuppiter, che mostro è questo? mi incute terrore! PANURGO. Ecco, vedetela, miratela a vostra posta. GRANCHIO. A me ha fatto passar la voglia di mangiare. PANURGO. Camina qua, Cleria mia. MORFEO. No, no po... posso, pa... padre mio. PANURGO. Orsú, entra in casa.
ATTILIO. Non è cosa onesta salvar l'onor e la vita di Cleria mia insieme con me, che, succedendo quel che disegna mio padre, m'ucciderei con le mie mani? TRINCA. Cosí dicevate allora. Non mi ci cogli piú.
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