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Aggiornato: 13 giugno 2025


O Cleria, io ti perdo, senza ch'altri me ti toglia; e sendo in casa mia, onde niuno mi caccia, è forza che ti lasci e abbandoni. Per esser tu troppo congionta meco, è forza che da te mi disgiunga. O leggi, o costumi umani a me contrari! S'armano contro me le leggi e i costumi de gli uomini.

E che quindi fo argomento che non risponde con amore a chi l'ama, con la fede a chi gli è fedele: e non cercando vedermi, come posso creder che m'ami? ESSANDRO. Signora, state sicura ch'egli sempre vi vede. CLERIA. Mi vede, eh? ESSANDRO. Vi vede, vi parla, vi tocca e vi sta sempre appresso. CLERIA. Egli mi tocca e vede? Fioretta, dici da vero? ESSANDRO. Cosí da vero come vi vedo e tocco io.

È stata mezana tra Cleria mia figliana e uno Essandro suo parente, che l'ha ridotta a divenir pazza e a menar vita da disperata; s'è attaccata a far l'amor col padron vecchio, e ha posto tanta gelosia tra lui e la moglie che stiamo tutti in scompiglio; l'ha tolto a me, che pur qualche voltarella mi recreava, di che mi scoppia il cuor di gelosia. Ma dove mi sei sparita dagli occhi, mona Fioretta?

ATTILIO. Pazzo è chi stima ch'uno innamorato possa reggersi da freno di ragione, perché l'animo è in tutto offuscato dall'amorose passioni. CONSTANZA. Trovatevi un'altra sposa od innamorata piú bella. ATTILIO. Amor non vuol cambio. O Cleria, in un medesimo tempo ti racquisto e ti perdo.

CLERIA. Dirai primieramente ad Essandro mio che vorrei mandargli mille saluti e consolazioni, ma non posso; che non ho salute consolazione, e mal posso partir seco quelle cose che non possedo.

CLERIA. In me non fu bellezza giamai, e se pur ve n'è qualche segno, vien dalla reverberazion della luce che senza pari è in voi. Onde oggi io vi fo dono di me stessa, e se il presente è troppo basso, accompagnato dall'affetto dell'anima mia, merita che sia accettato e gradito da voi. ESSANDRO. O dolce oggetto degli occhi miei, come io potrò ringraziarvi del ricco presente che voi mi fate?

Venendo con voi da Vineggia, mi parea esser un di quei che navigano di notte con una nave di cristallo, che temono sempre incontrarla e romperla in ogni scoglio. CLERIA. Se segue quel che disegna vostro padre, questa sera sará il fin della nostra giornata, e resterá per noi una notte perpetua; e certo saria una notte, ché d'allora innanzi non sperarei veder altro sole.

PARDO. Le stracredo. PEDOLITRO. Qual cagion vi muove, che crediate piú a costei che a me? PARDO. Io credo al mio figlio e al mio servo. PEDOLITRO. Fate male a credere a questi: guardatevi che non v'ingannino. PARDO. Chi è dunque costei? PEDOLITRO. Colei che vi dissi da principio. PARDO. Costei non è Cleria? PEDOLITRO. Non so perché mi cenni e mi fai cert'atti: che mi vuoi significare?

CLERIA. Padron mio caro, se son caduta in error di troppa amorevolezza, non vorrei cader in opprobrio di troppo sfacciatezza e disonestá; onde vi prego a non far cosa onde giuntamente abbiamo a pentircene, anzi voi stesso debbiate portarmene odio perpetuo.

Pardo vuol maritar Cleria col capitano, perché non gli dote; e Gulone parasito tratta le nozze. Proporremo voi a Pardo con la medesima condizione; e come che voi sète di maggior merito, stimo che l'otterremo. Poi diremo che Attilio vuol prender Sulpizia, perché il vecchio lo desia molto, e vuol che si sposino per la sera che viene.

Parola Del Giorno

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