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ATTILIO. Madre, se promettete di perdonarmi e di rimediarvi, che di un male non se ne faccino molti, vi spiegherò il fatto come passi. CONSTANZA. Ti giuro, figlio, per quella grande affezion che ti porto, che spenderei questo avanzo di vita in tuo serviggio. Che se non m'adoperassi per un figlio, per chi debbo adoprarmi io? ATTILIO. Poiché cosí volete, vi scoprirò il tutto.

CONSTANZA. Ed io son Constanza tua madre, che or giunge da Constantinopoli, con assai piú desiderio di vedervi che della propria mia acquistata libertade. Voi dunque sète Constanza? CONSTANZA. Io son quella infelice donna che venti anni son stata schiava di genti barbare. ATTILIO. O madre, quanto mi sarebbe stata cara la tua venuta, se a piú opportuno tempo venuta fosse.

Vo' perdonargli; e come soglio vincer tutti, cosí vo' vincere me stesso. Viva, viva! e io insieme con lui. A dio. TRINCA. A dio. Non ho visto poltron simile a costui, a giorni miei. CONSTANZA vecchia, sola. CONSTANZA. Io non posso se non infinitamente ringraziare Idio, poiché egli infinitamente m'ha favorito.

ATTILIO. Conosco, carissima madre, avervi offeso, e però mi vergogno manifestarlovi. CONSTANZA. L'offese de' figli alle madri non passano la pelle: non sará mai tanto grande, che non sia vinta dall'affetto materno. Voi tacete? Manifestatela, figlio, ché troverete quel che vi dico.

Goditi, madre, la tua figliuola nuovamente acquistata, e lascia che il tuo figlio vada tapinando per il mondo, senza suspetto che tratti piú mai con la sorella. CONSTANZA. O che disgrazia è la mia! pensava dar allegrezza alla mia casa, e sono stata istrumento e ministra di crudel ufficio.

CONSTANZA. Poco è, figliuolo, quello che domandi che faccia per amor tuo; e prima che qui giungessi, ho desiata occasione di servirvi tutti. ATTILIO. Ecco mio padre. PARDO. O Constanza, carne mia, sei tu dessa over io non son io? o è forse questo un sogno? o fingo imagini a me stesso del desiderato bene?

CONSTANZA. Son una donna che, quando Pardo e Attilio sapessero ch'io son viva e qui venuta, ne arebbono quella allegrezza che ne ho io. ATTILIO. Ditelo, di grazia. CONSTANZA. A voi non appertiene saperlo. ATTILIO. E forse me s'appertiene piú che ad altri, perché io son Attilio suo figliuolo.

O padre, non puoi dolerti piú di me, che t'abbia ingannato e non dettoti il vero: mi desti danari per riscattar la sorella e la madre, ecco v'ho riscattata la sorella e condottala a casa tua: e hai avuto da me quanto hai desiderato. io posso dolermi se non di me stesso, perché solo ho ingannato me stesso. CONSTANZA. Figlio, del male almen n'è uscito un tal bene.

ATTILIO. Pazzo è chi stima ch'uno innamorato possa reggersi da freno di ragione, perché l'animo è in tutto offuscato dall'amorose passioni. CONSTANZA. Trovatevi un'altra sposa od innamorata piú bella. ATTILIO. Amor non vuol cambio. O Cleria, in un medesimo tempo ti racquisto e ti perdo.

O madre, quanto m'è cara la tua venuta, tanto m'è acerba: questo giorno me ti e me ti toglie: nel giorno, che hai conosciuto tuo figlio, lo perderai: questo è il primo giorno che mi vedi, e l'ultimo che mi vedrai, che è forza che mi parta dalla casa, dalla vita e dal mondo tutto. CONSTANZA. Chi ti vieta, o figlio, che non vivi e stia in casa tua?