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CONSTANZA. Non son tanto goffa, che non sapesse fingere questo poco; e quando mai far non lo sapessi, l'amor che vi porto, mi sará miglior maestro che costui: so quello che si debba dire e tacere, e non me lo farò dir piú d'una volta. ATTILIO. Trinca, sali su, fa' calar mio padre, che venghi a ricever la sua moglie tanto desiderata; e avisa la mia Cleria del trattato. TRINCA. Volentieri.

E sotto nome di Cleria è stata ricevuta, per non dargli tal disgusto in quel poco tempo che potrá sopravivere. Or voi, entrando in casa e dicendo che quella non è Cleria vostra figlia, lo farete morir di dolore, si terrebbe sodisfatto se non mi diseredasse e mi cacciassi fuor di casa. CONSTANZA. E s'io dicessi che quella fusse Cleria mia figlia, ti saria di contento? ATTILIO. Grandissimo.

Tu sei ben dessa, e me ne sono assicurato, che con piú d'una guardatura ho confrontato l'imagine tua con quella che nel cuor impressa mi lasciasti. CONSTANZA. O marito, marito caro, che, avendo perduta la speranza di non averti mai piú a rivedere, or veggendoti e abbracciandoti, non lo credo.

CONSTANZA. O Dio, che sommamente desio vederla. PARDO. Attilio, va' su e fa' calar la tua sorella. ATTILIO. Vado. PARDO. Come sète venuta cosí sola. CONSTANZA. Lungo tempo bisogna, consorte mio, a narrar lunga istoria della servitú sofferta fra quei cani, de' lunghissimi travagli del viaggio, che non son stati minori. PARDO. Ecco la tua figlia Cleria.

CONSTANZA. Figlia cara, come ti trovo in casa di tuo padre? CLERIA. Separata da voi, fui comprata da un sangiacco, e avanzando io in etá, s'invaghí di me quel cane; la moglie ne divenne gelosa, e, quando ei si partí per affari del Gran Signore, mi consegnò ad un servo, che mi vendesse. Cosí capitando mio fratello in Constantinopoli, mi riscattò da quello e mi condusse qui a casa seco.

Dunque, sarò marito e fratello di mia sorella, padre de miei nipoti e zio de miei figliuoli? sarò genero vostro e di mio padre? CONSTANZA. Figlio, l'ignoranza fa men colpevole l'errore del tuo non fallo.

TRINCA. Una bugia a tempo val tant'oro. CONSTANZA. Gentiluomini, mi sapreste voi dir se Pardo Mastrillo fusse vivo? ATTILIO. È vivo e in buona sanitade ancora. CONSTANZA. Ed Attilio suo figliuolo? ATTILIO. E Attilio parimente. CONSTANZA. Idio, per colmarmi d'ogni contentezza, m'ha voluto racconsolar con la vita di l'uno e di l'altro. ATTILIO. Chi sète voi, che tanto vi rallegrate della lor vita?

CONSTANZA. Bastami che m'amiate per l'avvenire, quanto m'amavate prima, o che m'amiate a par di quello, che v'amo io: che mi fará subito dismenticare de' disaggi della passata servitude. PARDO. Moglie, mi sento venire meno per l'allegrezza. CONSTANZA. Ed io non posso tener le lacrime. PARDO. Vo' che abbiate un'altra allegrezza, che veggiate Cleria vostra figlia.

CONSTANZA. Quel che la conscienza mi sforza a dire. ATTILIO. Cleria è mia sorella? CONSTANZA. Cosí tua sorella, come io tua madre: conceputi d'un istesso seme, portati nove mesi e partoriti dal medesimo ventre mio. ATTILIO. O crudeli effetti di fortuna, o essempi di somma infelicitá, o infelice versaglio di compassione! e qual penitenza emenderá il mio fallo?

PARDO. O moglie cara, o quanto ho pianto il mio peccato di averti mandato a chiamar da casa tua per condurti in Polonia, preponendo la mia comoditá al tuo discomodo. CONSTANZA. Posso dir che, tenendovi cosí abbracciato, tengo la cosa piú desiderata che abbia al mondo. PARDO. Ed io l'anima mia; ché, rimasto senza te, rimasi un cadavero.