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Ella lo guardò, in silenzio. Veramente, in quel momento, mentre attraversavano piazza Colonna tutta fulgida di lumi, Giovanni Serra le parve invecchiato. Su quegli occhi azzurri che ogni tanto aveano qualche cosa d'infantile, parea che veli e veli di lacrime fossero passati, nell'ombra e nella solitudine, quando l'uomo può lasciar erompere il suo dolore, oltre le dighe della fierezza. Su quelle labbra si era posata una stanchezza che ella soltanto ora scorgeva, la stanchezza di aver invano chiamato un nome, di aver invano invocato un bacio, di aver invano singhiozzato, nelle ore solinghe dell'abbandono. Per la prima volta, e con una intensit

Comprese d'un tratto che in tutte le sere passate ella non aveva recitato che per questo Nino; che per lui, per lui solo, ella aveva singhiozzato e pianto, riso e delirato. E vedendolo ora davanti a lei, con la faccia tra le mani, chino il bel capo ricciuto, ella si sentì nel cuore quel palpito intermittente che riconosceva e paventava. Misericordia! sospirò. Ho paura che sia un'altra cotta!

Egli riservato a quel giorno doveva restar solo e sparire. Quindi senza un lamento congeda il drappello degli ultimi che l'avevano seguito. Napoleone aveva singhiozzato a Fontainebleau stringendo la mano al generale della sua vecchia guardia, e sublime egoista le aveva gridato: Scriverò nell'esilio quanto operammo insieme!

Signora, vi odio. Mi hanno detto che siete stata amata, che uomini austeri hanno singhiozzato d'amore alle vostre ginocchia: so che Francesco Sangiorgio vi ha dato tutto stesso, nell'abbandono della più ardente passione. Ma nessuno amore del vostro passato e del vostro presente può arrivare alla misura dell'odio profondo, cieco, invariabile che trabocca dal mio cuore per voi: ma tutti gli amori presi insieme, compreso quello di Francesco, non giungono all'altezza del mio odio. Ho ventiquattro anni: sono piena di gioventù e di salute: ho dritto alla mia parte di gioia, di felicit

Erano state lunghe, eterne quelle ore dei tre giorni, io le aveva vedute avanzare pigre e stanche, ma le ore dell'ultima notte, chiamate invano, supplicate invano, non venivano. Lei doveva arrivare alle sei del mattino. Dalle otto della sera prima io agonizzava nell'impazienza. Non una lettera, non un telegramma. Non poteva farmene, non doveva farmene, avevamo stabilito così. Viaggiava lei verso me? Dove era lei in quel momento? Calcolando potevo saperlo. E se non venisse? Tutte le più alte, le più inflessibili deduzioni matematiche sono capovolte da un picciolissimo fatto. Passeggiavo, fumavo, morsicchiando la mia sigaretta, lasciando che si spegnesse, gittandola nella via, accendendone un'altra. Nella sera ad uno ad uno si spegnevano i lumi del paesello. Passò un treno alle nove; era un diretto, non fermò. Alle dieci un altro; fermò per due minuti; era l'ultimo. La stazione era il mio faro, la mia compagnia. Illuminata, mi riscaldava il cuore come un raggio di sole. Certo i due impiegati, i facchini, il capostazione dovevano essere molto stanchi, poichè smorzarono subito e se ne andarono a letto. Mi parve di rimanere solo, abbandonato, in un deserto, senza luce, senz'acqua. Rientrai in camera, tutto angustiato. Dinanzi ad una fioca stearica d'albergo, in piedi, fremendo, rilessi le sue lettere inquiete, agitate, febbricitanti, che mi davano la follia. Sarebbe venuta. Sarebbe venuta la regina di Saba nei dômi azzurri della mia fantasia. Io le tendeva le braccia, ella veniva. Poi mi mettevo a pensare se quel salottino e quella camera d'albergo erano degne di ricevere la sua persona. Piccole stanze, messe con un lusso un po' rustico, un po' cittadino. Ma come Cristo, vi erano tutte le stazioni della Passione. Gliele avrei fatte vedere: Vedi, qui ho pianto, pensando che tu non saresti venuta. Qui ho sperato che questo calice mi sarebbe risparmiato. Qui ho agonizzato nel dubbio della mia fatale Getsemani. Qui ho singhiozzato credendomi tradito da te. Qui ho disperato, credendo che non saresti più venuta. Questo è stata la mia tomba per tre giorni. E qui, qui, amore mio immenso, sono risorto. E pieno di una esaltazione, uscivo sul terrazzo a gesticolare, come un lungo burrattino preso da pazzia. Forse non sarebbe venuta. Mi sedetti in un angolo, appoggiando le braccia sul muretto, e il capo sulle braccia. Ma non dormivo, no. La boccettina del cloralio era quasi vuota sulla mia tavola. La vuotai. Mi distesi sul letto per dormire. Non dormivo. Presi un libro: le massime di Larochefoucauld. Tristi massime, ironiche massime, piene di realt

La sua mano brancicava convulsa sulla scrivania quelle carte, quasi fossero fango; e non se ne poteva staccare. Ed io avevo preso quella mano, e l'avevo serrata forte nelle mie. «Perdonamiavevo singhiozzato. Ed ero fuggito.