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...Infine ho la coscienza di non essere perversa, e se scendo in fondo al cuore, trovo che sarei capace di far la moglie come le più brave. Ma che colpa ne ho io se quest'uomo non mi sa prendere, se non se ne d

Abbiate pazienzia fino ch'egli esca fuore. FLAMMINIO. E' nol farebbe Iddio ch'io avessi piú pazienzia. CRIVELLO. Voi guastarete la torta. FLAMMINIO. Io mi guasti. Tic, toc, toc. CLEMENZIA. Chi è? FLAMMINIO. Un tuo amico. Viene un poco giú. CLEMENZIA. Oh! Che volete, messer Flamminio? FLAMMINIO. Apre, ché tel dirò. CLEMENZIA. Aspettate, ch'io scendo.

Di tutto questo, o caro lettore, lascio a te l'ulteriore considerazione. Io scendo dall'Ippogrifo; tu, se ti aggrada, puoi continuare la volata. Messo t'ho innanzi, omai per te ti ciba. Estratto dalla rivista Natura ed Arte, Anno XIX, n° 1,1° dicembre 1909

»La gioia dei profani » È un fumo passeggier. Mi desto di soprassalto è sento di nuovo suonar delle trombe; credo sul principio che ciò non sia che un giuoco della mia alterata immaginazione: aguzzo l'orecchio, alla fine-* stra, la schiudo... Non ci è che dire... sono trombe che ci chiamano un'altra volta a raccolta Ci siamo, dico tra me e non senza imprecazioni, mi ricingo la durlindana e scendo in mezzo alla via.

Rimasero tutti per qualche momento silenziosi, guardando il fuoco malinconicamente. Intanto entrò la serva, tutta animata e sorridente, e, nell'accendere i lumi per i padroni, disse: Scendo ora dal quarto piano. Si è fatto un gran ridere; si sono mangiate le castagne; una vera festa per quegli alari che hanno comperato. Ne sono contenti? domandò il dottor Valeri. Altro che contenti!

Mio Dio, Ti supplico, ginocchioni, gettato a terra Ti supplico, fammi morire! Ho letto le memorie dell'anno scorso. Mio Dio, fammi morire. Risparmiami un altro anno di tormenti. Trovo nel cassetto una memoria che mi diede Vittoria. Oh piango! E devo scrivere pei musei e pelle biblioteche. Ho lavorato cinque ore. Scendo. Trovo i confetti della sposa. 21 febbraio. Perchè sono sconfortato?

, ragazzo mio; bisogna vederlo, che cos'è diventato. Un vero guazzabuglio. Ma procediamo con ordine; altrimenti non capirai nulla. Ero sul ponte, a lavorare, e si trovava con me Parri della Quercia, per mesticarmi i colori. Ad un tratto, i massari mi vogliono giù. Che bisogno hanno di me, da chiamarmi così in fretta? Per fortuna, non mi ero ancor messo a dipingere. Scendo dal ponte, vo in sagrestia: e l

Scendo dal treno, attraverso un giardino, mi guardo intorno, son solo; i viaggiatori che scesero con me sparirono chi di qua chi di l

E si levò in piedi per abbassar la fiamma del gaz, ma, breve di statura com'era, non ci arrivava. Son qua io disse il suo vicino, l'onorevole Francioni, ch'era una pertica. Ma io mi guarderò bene dall'addormentami. Scendo a Grosseto. E noi scendiamo a Pisa soggiunsero i due compagni. Non c'è che Varedo il quale faccia un viaggio lungo. Pur troppo. E che viaggio!

Ecco, scendo al tuo canto, o mio biondo poeta: la tua cura secreta, dimmi, ti sforza al pianto? Bada, Arcadelte, bada: è questa la malia. A voi, Madonna Lia, l'anima mia e la spada. O mio biondo Signore oltre all'occhio lucente della Donna ridente, sai tu leggere in cuore? Arcadelte, non fare: È l'inganno, è l'inganno.