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Vola la rupe e per lo voto calle Ronza feroce, e tutta l'aria scote, E nel corso bramato ella non falle, Che 'n mezzo al petto del garzon percote: Ei crolla e sul terren batte le spalle, E di freddo pallor tinge le gote, E vicino a morir singhiozza sangue, E cade l'arco da la man che langue.

53 Or su Gradasso, or su Ruggier percote ne la fronte, nel petto e ne la schiena, e le botte di quei lascia ognor vote, perché è presto, che si vede a pena. Girando va con spaziose rote, e quando all'uno accenna, all'altro mena: all'uno e all'altro gli occhi abbarbaglia, che non ponno veder donde gli assaglia.

Più nulla tromba con la voce orrenda L'aria dintorno altieramente scuote; E perchè de le turbe il cor s'accenda Gli aspri tamburi nulla man percote. Gridano i duci; ma non è ch'attenda Alcun guerriero a l'animose note; I cor tremanti, impalliditi i volti, E son tutti a la fuga i piè rivolti.

Tal costui venne, e col lucente acciaro L'elmo gemmato ad Ottoman percote; Mille accese faville al cielo andaro, E sonaro le piaggie indi remote; I gran diamanti, onde l'elmetto è chiaro, Il brando, ben che fin, spezzar non pote; Ben del feroce Re l'animo accese, Ch'a lui si volse, e sul terren lo stese.

Allor scote le briglie, e picca il fianco Del gran destriero; e con la destra irata Impugna il brando, che dal lato manco Pendea ricinto di catena aurata. Ma nel buon corridor l'ardir vien manco Per l'alta fiamma a non mirarsi usata, Che da l'armi celesti in varie rote L'aria dintorno co' gran rai percote.

Ma se 'l tenore è del mio mal forte Ch'io non deggia aspettar, salvo tormenti, Con franchezza di cor cerchiam la morte, Sol refugio de' mesti e de' dolenti; Tra queste amare voci apre le porte A caldi pianti, ed a sospiri ardenti, Straccia le chiome, e a gran furor percote Pur con ambe le palme ambe le gote. «Nel XXI. Amedeo uccide Ottomano; et Amedeo ferito si medica.

Indi si scaglia, e con terribil mano Asconde il ferro a Baiazetto in seno, E percote Giaffer, percote Ismano, E fier percote Ariaden non meno, Stende Giunusso e Mustafa sul piano, Ferratto, Assan, Giesul, cari ad Ebreno, Cari ad Arsace, nel cui stuolo altieri Parte fur capitani, e parte alfieri.

O amore, amore, amor!... Tutto ti sento Nell’esultanza de l’april risorto; Dai profumi a le rose ed ali al vento, Copri la terra di raggi e di baci... Ma nel mio cor sei morto. Nel lanificio dove aspro clamore Cupamente la vôlta ampia percote, E fra stridenti rôte Di mille donne sfruttasi il vigore,

Pianger perchè? non dir: Morte ha diviso Di polvere due grani; Ma ricongiunse in suo voler potente La goccia alla sorgente. Or sai più cose che non t'eran note Prima e che forman la tua scienza nuova: Sai che il dolore quanto più percote Del cor le forze invigorisce e prova.

Quando un vecchio piloto Mi narra gli usi di lontane genti E dei suoi giorni i fortunosi eventi, Io ripeto fra me: La vita è il Moto! Quando la melodia D'un verso o d'un liuto mi percote, Mi echeggian nella mente colle note Le parole: La vita è Poësia! Se alla diva potenza Io penso del cervello di Keplero, Se a Spallanzani rivolgo il pensiero., Dico fra me: La vita è la Scïenza!