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La rettitudine ed il coraggio di Giuliano, così giustamente ammirato da Ammiano e da Libanio, appaiono in tutta luce nella lettera da lui diretta al medico Oribasio, al tempo dei suoi urti con Florenzio, in Gallia, per frenarne gli abusi finanziari. Dopo aver narrato ad Oribasio quel sogno dei due alberi, che gi

Forse, nell’accusa che Giuliano muove a Costanzo di stringere segretamente accordi coi barbari a suo danno, c’è un po’ d’esagerazione. Stando al racconto d’Ammiano, tutto si riduce all’episodio di Vadomario, e la corrispondenza fra Costanzo ed i re barbari che Giuliano dice d’aver avuto in sua mano sarebbe rappresentata dalla sola lettera di Vadomario, che pur parrebbe, a quanto ne riferisce Ammiano, di non grande importanza. È vero che anche Libanio¹⁰² d

Queste accuse di Libanio non hanno nessuna sicurezza di indicazione precisa, ed hanno contro di il silenzio assoluto di Ammiano e di Zosimo che, non avendo alcun interesse a tacere le colpe dei Cristiani, non avrebbero esitato a farsene rivelatori, quando fossero provate. D’altra parte, nulla vieta di supporre che, nella confusione della battaglia, fra i nembi di polvere che, a quel che dicono tutti i narratori, oscuravano l’aria, l’imperatore sia stato casualmente colpito da un’asta che non era diretta a lui. Però dobbiamo anche riconoscere che non è fuori affatto d’ogni probabilit

³³ Liban., I, 159, 2 sg. Libanio e Socrate si accordano nell’attribuire al filosofo Massimo il merito, secondo il primo, la colpa, secondo l’altro, della conversione di Giuliano. Massimo era ritenuto come un santo dal politeismo. Eunapio³⁴ narra che, entrando egli una volta nel tempio di Diana, in Efeso, la statua della dea sorrise di compiacenza, e si accese la lampada ch’essa teneva in mano. Giuliano si esaltava in questa atmosfera di misticismo; ma doveva nascondere i suoi entusiasmi, perchè la notizia di ciò che faceva era giunta a Costanzo, il quale subito se ne insospettiva, e Giuliano, per non cadere in disgrazia, ciò che, sotto Costanzo, voleva dire essere trucidato, dovette riprendere nell’apparenza la vita e gli esercizi del cristiano. Ma il suo spirito era irremissibilmente compromesso nell’Ellenismo. Il seme che il vecchio Mardonio aveva deposto in lui, maturato dall’odio contro il persecutore della sua famiglia, dalla reazione contro il sistema di uggiosa compressione in cui era stato allevato, dal rimpianto delle glorie antiche che andavano svanendo, da un’aspirazione ad un’alta moralit

Questo così radicale mutamento nella fortuna di Giuliano che, da principe perseguitato, passa, d’un colpo, ad essere collega dell’impero, in condizioni estremamente difficili, ispira qualche sospetto sulle intenzioni di Costanzo. Libanio addirittura le dichiara perverse. «Ed onde alcuno non si meravigli

²⁹² Liban., II, 178. ²⁹³ Idem, 194, 10 sg. Ma Teodosio, dice Libanio, non ha mai emanata nessuna legge che sanzionasse questi eccessi. «Tu non hai mai imposto questo giogo all’anima umana. E se credi che il culto del tuo dio sia preferibile al culto degli altri, non hai dichiarato che questo sia un’empiet

³⁴⁸ Liban., 579, 5. ³⁴⁹ Idem, 580, 10 sg. E, in altro luogo, Libanio esce in questa eloquente apostrofe agli dei, interessante anche perchè ci rivela di quali e di quante illusioni si pascesse lo spirito del partito ellenista che circondava Giuliano, e perchè ci si sente l’eco degli infervorati colloqui che egli avr

⁹⁸ Il mistero della morte di Elena fu, dai nemici di Giuliano, adoperato contro la sua memoria, allora che il vilipenderla divenne un titolo di onore e di favori. Noi sappiamo da Libanio come un certo Elpidio, il quale aveva cercato di creare imbarazzi a Giuliano quando era nella Gallia, e di sollevargli contro l’esercito (Liban., II, 321, 10 sg.), spargesse la calunnia che Elena fosse stata avvelenata da un medico del seguito di Giuliano, per volere di Giuliano stesso. Libanio insorge, con tutta la forza della sua onesta affezione, contro la stolta menzogna, e, siccome se ne faceva propagatore, in Antiochia, un suo amico e discepolo, Policleto, egli rompe ogni relazione con lui, e non lo riceve più in casa sua (Liban., II, 316 sg.). A questo Policleto dirige un discorso per dimostrargli la stoltezza dell’accusa e l’indegnit

Ciò deriva, in primo luogo, dall’esistenza di tre fonti di singolare importanza, tutte contemporanee al personaggio di cui parlano, e sono le storie di Ammiano Marcellino, i discorsi di Libanio e quelli di Gregorio di Nazianzo; in secondo luogo, e sopra tutto, dalla conservazione degli scritti dello stesso Giuliano, che sono la più interessante rivelazione di quello spirito inquieto.

Ma vi era, in Giuliano, scrittore, una grazia che resiste e rivive in mezzo a tutti gli artifizi di stile. Vediamo, per esempio, questi bigliettini ch’egli scriveva a Libanio, un maestro da lui venerato non meno di Giamblico e di Massimo. Libanio gli aveva promesso di mandargli un suo discorso. Ma il discorso non giungeva, e Giuliano gli scrive⁴⁰⁶: ⁴⁰⁶ Iulian., 482, 21 sg.