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3 Ben spero, donne, in vostra cortesia aver da voi perdon, poi ch'io vel chieggio. Voi scusarete, che per frenesia, vinto da l'aspra passion, vaneggio. Date la colpa alla nimica mia, che mi fa star, ch'io non potrei star peggio, e mi fa dir quel di ch'io son poi gramo: sallo Idio, s'ella ha il torto; essa, s'io l'amo.

Che imponi? NER. Che far?... Si mostri or questa Ottavia al volgo; su via, si mostri; indi si sveni. OTTAV. Il petto eccoti inerme: svenami, se il vuoi. Pur che a te giovi!... Alla infiammata plebe mostrami spenta: ogni colpevol gioja rintuzzerai tosto cosí. Sol chieggio, che un'urna stessa il freddo cener mio di Britannico in un col cener serri.

DON IGNAZIO. Anzi per vostro merito. EUFRANONE. Non mi conosco di tanto preggio che sia degno di tanta cortesia. DON IGNAZIO. Siete degno di maggior cosa: io vi chieggio la vostra figliola con molta affezione. EUFRANONE. Stimate forsi, signore, ch'essendo io povero gentiluomo venda l'onore de mia figliuola? Veramente non merito tanta ingiuria da voi.

40 Or sopra ciò vostro consiglio chieggio: se partirmi di qui senza far frutto, o pur seguir tanto l'impresa deggio, che prigion Carlo meco abbi condutto; o come insieme io salvi il nostro seggio, e questo imperial lasci distrutto. S'alcun di voi sa dir, priego nol taccia, acciò si trovi il meglio, e quel si faccia.

Con voi ragiono riposti orrori e solitaria riva: e prego che fra voi si stian sepolte le mie parole: e voi piacevoli aure fermate l'ali e eco non risponda: non risponda eco a me, che la sua doglia mal si conface al mio gioioso stato. Chieggio silenzio, acciochè fuor non s'oda per la mia bocca l'alta mia ventura, che d'invidia potria colmare altrui.

97 I tre guerrieri arditi si fermaro dove un sentier fendea quella pianura; e giunger quivi un cavallier miraro, ch'avea d'oro fregiata l'armatura, e per insegna in campo verde il raro e bello augel che più d'un secol dura. Signor, non più, che giunto al fin mi veggio di questo canto, e riposarmi chieggio.

PANURGO. Vi chieggio una grazia, Gerasto, che possa baciar mio figlio, gli dia questa allegrezza e non lo facci piú disperare. GERASTO. Eccovi la chiave; quella è la stanza terrena. APOLLIONE. Entriamo. PANURGO. Essandro, padron mio caro, come state? ESSANDRO. Accompagnato da una amarissima compagnia di pensieri. PANURGO. Non domandi di tuoi successi? ESSANDRO. Per allungar la speranza!

Io nulla son, ma ad onorarti appresi, E so che sei possente appo il Signore, E con al tuo sepolcro mi prostesi, Ed il pensare a te m'innalza il core: Odimi, Carlo, e i miei sospiri accesi T'abbian per me ne' cieli intercessore! Delle giust'opre caldo amor chiegg'io, Chieggio vederti un giorno in seno a Dio!

Poi che fu il re condotto inanzi a quello, inginochiossi, e le man giunte stese, e disse: Angel di Dio, Messi novello, s'io non merto perdono a tante offese, mira che proprio è a noi peccar sovente, a voi perdonar sempre a chi si pente. 115 Del mio error consapevole, non chieggio chiederti ardirei gli antiqui lumi. Che tu lo possa far, ben creder deggio, che sei de' cari a Dio beati numi.