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Dagli sposi e da Ambrogio erano stati invitati al rinfresco il sindaco con la sua signora, don Vincenzo, padre e figlio Frascolini, il medico condotto, il farmacista e la Ottavia. Tutti costoro, in certo modo, rappresentavano le autorit

SENECA Signor, non sempre i miei consigli a vile tenuto hai tu. Ben sai, com'io, coll'armi di ragion salde, arditamente incontro al giovanile impeto tuo mi fessi. Biasmo, e vergogna io t'annunziava, e danno, dal repudio di Ottavia, e piú dal crudo suo bando.

Iniqui voti intanto fare a tua posta puoi; spera, desia; giá giá si appressa anco il tuo . SENECA Lo aspetto. NER. E tu, fia questo il tuo trionfo estremo, godine pur; che breve... OTTAV. Il , ma tardo, anco verrá, che Ottavia a te fia nota. POPPEA Dimmi, o Nerone: al fianco tuo m'hai posto sul trono tu, perch'io bersaglio fossi alla insolenza del tuo popol vile?

Il nostro conte palatino si affrettò, con savio accorgimento, ad offrire il braccio alla nobile Ottavia. Il marchese Tartaglia si dinoccolò per offrire il suo alla Matilde, e tutti e quattro, gloriosi e trionfanti, salirono le scale.

Ottavia, la serva, aveva diciotto carlini: li dette. In breve, nel palazzo non ci fu più un soldo, un pizzico di farina, una goccia di vino. Gli ufficiali svizzeri si vergognavano: specialmente il maggiore, che era una persona assai gentile, chinava il capo, offeso nel suo orgoglio di militare. Ora i soldati volevano il tesoro della Madonna: lo volevano giuocare a carte.

A Sandro Frascolini la gente gli contava le amanti a dozzine. Tutte le più leggiadre ragazze erano sue innamorate; perfino la bellissima Ottavia, la bellezza regina, si comprometteva per lui, cosa che faceva intisichire la moglie del sindaco: e Lalla ebbe per Sandrino un capriccetto.

Tiravano via diritto, la Veronica guardandolo fiera, minacciosa, a testa alta, la Ottavia abbassando gli occhi, pudicamente, e stirandosi il gonfio grembiule colle mani. Quando poi erano passate innanzi, si scambiavano un'occhiata di sopra al piccolo segretario, il quale, alla vista dell'ex tenore, parea volesse nascondersi tutto dentro la gazzetta.

Ivi è il portico di Ottavia. Rovinati e cadenti, i suoi grandi archi, i suoi pilastri si drizzano sempre a lato del Ghetto. E' di l

A che rieda, il vedrai. Saggio fra' saggi, Seneca, tu giá mio ministro e scorta a ben piú dubbie, dure, ed incalzanti necessitá di regno; or, men lusingo, tu non vorrai da quel di pria diverso mostrarmiti. SENECA Consiglio a me, pur troppo! chieder tu suoli, allor che in core hai ferma giá la feral sentenza. Il tuo pensiero noto or non m'è; ma per Ottavia io tremo, udendo il parlar tuo.

Detto io mai non l'avrei, se Ottavia mai avuto avesse l'amor tuo. Ma, stolto! che parlo? Ove ciò fosse, ove mertato ella avesse il tuo cor, non che mai farti oltraggio tal, pensato avrialo pure? Ragion di stato, e mal tuo grado, in moglie costei ti diede. Ella di te non degna ben si conobbe, e quindi il cor suo basso bassamente locò. NER. Ma oscuro fallo, temo, che il trarlo a obbrobríosa luce...