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Aggiornato: 23 giugno 2025


Ma che veggio? mentr'io son presa a scherno, tacito, e dubbio, e inulto, stai tu appresso alla cagion d'ogni tuo danno? In vero, signor del mondo egli è Nerone! il volgo pur la sua donna a lui prefigge. OTTAV. Hai sola tu di Nerone il core: omai, che temi? Io prigioniera vile, io son l'ostaggio della ondeggiante fe d'audace plebe.

NER. Cessa, taci, ritratti, o ch'io... POPPEA Lo sdegno merta costei del signor mio? Gli oltraggi son le usate de' rei discolpe vane. Se offendermi ella, o se prestarle fede potessi tu, solo un de' motti suoi punto m'avria. Che disse? ch'io non t'amo? tu sai... OTTAV. Tu il sai piú ch'egli: ei lo sapria, se il trono un perdesse: appien qual sei conosceriati allora.

Te fa minor d'ogni piú vile ancella tua turpe fiamma: appien dal prisco grado, dalla tua stirpe appien scaduta sei. OTTAV. Tu meno assai mi abborriresti, s'io scaduta fossi or d'ogni cosa; o s'anco tu il pur credessi. Ma, se il vuoi, ti dono, tranne sol l'innocenza, ogni mia cosa.

OTTAV. Ei di virtú per certo non s'innamora: prepotenti modi, liberi, audaci, a lui son esca, e giogo; teneri, a lui recan fastidio. Oh cielo! io, per piacergli, e che non fea? Qual legge io rispettava ogni suo cenno: io sacro il suo voler tenea. Di furto piansi l'ucciso fratel mio: se da me laude non ne ottenea Neron, biasmo non n'ebbe.

OTTAV. E se pur v'ha chi me convincer possa d'infamia a schiette prove, io giá t'ho scelta, in mio pensier, Poppea; giudice sola te voglio. Il variar del cor gli affetti, tu sai qual sia delitto, e qual mercede a chi n'è rea si debba. Ma innocente io son, pur troppo, anco ai vostr'occhi. Or via, tu, che altera in tua virtú ti stai; tu, pur osi or sostener miei sguardi. NER. Che ardisci tu?

Che imponi? NER. Che far?... Si mostri or questa Ottavia al volgo; su via, si mostri; indi si sveni. OTTAV. Il petto eccoti inerme: svenami, se il vuoi. Pur che a te giovi!... Alla infiammata plebe mostrami spenta: ogni colpevol gioja rintuzzerai tosto cosí. Sol chieggio, che un'urna stessa il freddo cener mio di Britannico in un col cener serri.

OTTAV. Tu piangi?... Me dall'infamia e dai martír, deh! salva: da morte, il vedi, ogni sperarlo è vano. Salvami, deh! pietade il vuole... SENECA E quando... io pur volessi,... in brev'ora,... or... come?... Meco un ferro non ho; giunge a momenti Nerone... OTTAV. Hai teco il velen sempre: usbergo solo dei giusti in queste infami soglie. SENECA Io,... con me?...

OTTAV. ; tu stesso, altra fíata, tu mel dicesti. I piú segreti affetti del travagliato animo tuo, qual padre tenero a figlia, a me svelavi allora. Rimembra, deh! ch'io teco anco ne piansi. Ma, il nieghi? Io giá maggior di me son fatta. Necessitá fa prodi anco i men forti.

Ma presso è il giorno, ove, a disfar chi abborro, non fia mestier che dal mio soglio un cenno. OTTAV. Tra 'l fero orror di tenebrosa notte, cinta d'armate guardie, trar mi veggo in questa reggia stessa, onde, ha due lune, sveller mi vidi a viva forza. Or, lice ch'io la cagione al mio signor ne chiegga?

OTTAV. Deh! scordarti tu al par di me potessi questi miei dritti, veraci pur troppo, poi ch'io ne traggo veraci danni!... D'odio e furor lampeggiano i tuoi sguardi? Oh me infelice donna! Piú ognor ti offesi quant'io piú ti amai. Ma, che ti chiesi? e che ti chieggo? oscura solinga vita, e libertá del pianto.

Parola Del Giorno

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