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Un altro Sermone dello stesso anno 1804 fu diretto ad un autore di cattivi versi per nozze. Il giovine Poeta si sdegna che si mettano a far versi i medici e gli avvocati, come se fosse cosa facile il frenare Di questa plebe indocile i tumulti.

Mentre cosí si appuntavano le armi contro la relazione documentata, che in povera veste era venuta da Lugano a raccontar fatti che si volevano sopire, era naturale che si cercasse di sapere chi ne fosse l'autore. Sulle prime corse voce che l'avesse fatta Melchiorre Gioia , forse perché dell'economista piacentino si ricordavano altri opuscoli pubblicati nell'occasione di gravi mutazioni politiche nel ventennio anteriore; ma la voce cadde di per , senza bisogno di essere smentita. Maggior consistenza invece prese l'opinione che uno o piú senatori avessero lavorato a mettere insieme la Memoria storica, e a questa opinione aderí anche Ugo Foscolo, quando prese a confutar quella relazione nei suoi discorsi Della servitú dell'Italia : generosi ed eloquenti discorsi, nei quali per altro non è dissimulato il dispetto del poeta di essere stato additato come frequentatore di mense ministeriali e sovvertitore della plebe ai tumulti del 20 aprile. Il Foscolo, come si vede da piú luoghi di quei discorsi e da altri della Lettera apologetica scritta quasi dieci anni di poi agli editori padovani della Minerva , teneva, se non per autore, almeno per ispiratore principale della Memoria storica il senatore Diego Guicciardi, fattosi, sempre secondo il Foscolo, sostenitore del principio della monarchia di diritto divino, appunto in quei giorni che l'Austria si preparava a soppiantare la Francia, e proclamatosi da per uomo di Stato a nessuno secondo. E questa ch'era stata l'opinione del Foscolo divenne presto universale, tanto che nel 1822 il Saint-Edme (cioè Teodoro Bourg, gi

Imbandíansi sulle tavole Le vivande in piatti d'oro; Il vestito delle dame Era un piccolo tesoro: Della plebe il brulicame Facea ressa nelle vie, Quando andavano a godersela Monsignori e Signorie. Poi le danze!

La plebe è tumultuante per abito, malcontenta per miseria, onnipotente per numero.

Sai cheripigliava il Menclozzo. Si vorrebbe che men pieghevoli avessero le schiene cotesti nobili; men ligi al padrone fossero e più amorosi alla plebe. Credilo: gli uomini sono come le nespole: per maturare vogliono la paglia.

Ed una parte della mazza era caduta da un lato del ceppo, l'altra dall'altro, messa in due, netta come se fosse stata di neve. I giudici applaudiscono al colpo poderoso, e la plebe grida forte: alleluia, alleluia! quasi avesse voluto adular quel signore.

Egli andava a quelle feste, per soffocare i suoi timori, per dimenticare il pericolo, e, supplicato dalla plebe, cantava, cantava. Lo applaudono, ed egli è lieto di quegli applausi, e di nuovo pensa a rinunziare al trono ed a dedicarsi soltanto al canto. Il cielo ritorna sereno.

E noteremo delle cittá in generale: che elle giá non si reggevano si resser piú in niuna di quelle forme originarie, quasi universali e piú semplici, de' consoli del secolo decimosecondo, o de' podestá del principio del decimoterzo; che ogni governo cittadino s'era mutato in forme diversissime, e variabilissime, secondo la preponderanza de' ghibellini o de' guelfi, de' nobili antichi o de' nuovi, de' popolani dell'arti maggiori o delle minori, od anche dell'ultima plebe, ad ogni decennio, ad ogni lustro, ad ogni anno; che questi governi quali che fossero, quand'eran di parecchi, si chiamarono la «Signoria»; e quando d'uno costituito legalmente o illegalmente, il «signore» dagli amici, il «tiranno» da' nemici; e che insomma le divisioni e suddivisioni e diversitá e gelosie ed invidie e pettegolezzi d'Italia non furono cosí moltiplici mai come in questo secolo.

Ogni altra strage de' miei ti perdonai giá pria; me stessa or ti perdono: uccidi, regna, e uccidi ancor: tutte le vie del sangue tu sai; giá in colorar le tue vendette Roma è dotta: che temi? in me dei Claudj muore ogni avanzo; ogni memoria e amore che aver ne possa la plebe.

E fu ben lagrimevole quello che scrisse Carlo Molineo, nel suo Trattato de' commerci, che seguí l'anno 1537 in Brettagna di Francia, ove nacque, a causa d'alzamento di monete e di poco opportuna proibizione d'alcune di esse, nelle quali consisteva l'aver della plebe, che per questa sola cagione, avanti che si rimediasse a' disordini, vi morirono di fame piú di 10.000 poveri.