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Aggiornato: 3 maggio 2025


SENECA Misero me! co' miei cadenti giorni salvar sperava i tuoi. Dovea la plebe udir da me le ascose, inique, orrende arti del rio Neron;... ma invano io vissi: tace la plebe; ed altro omai non ode che il timor suo. Di questa orribil reggia mi è vietato l'uscire... Oh ciel! chi vale contro empio sir, s'empio non è?

O stelle nemiche d'ogni mio bene ben posso io chiamarvi crudeli, poiché nel nascer mio v'armaste di cosí funesti e miserabili influssi, deh, fuggite dal cielo, spengete il vostro lume e lasciate per me in oscure tenebre il mondo! O luna, oscura il tuo splendore e cuopra il tuo volto ecclisse orribile e spaventoso, e in tua vece veggansi orrende comete colle sanguigne chiome!

Tutti ne va fiutando: al fin duo prende; che vuol cenar de le lor carni crude. Al rimembrar di quelle zanne orrende, non posso far ch'ancor non trieme e sude. Partito l'Orco, il re getta la gonna ch'avea di becco, e abbraccia la sua donna.

Manfredo, sospinto dalla mano del Morone, s'accostò alla duchessa, presso la quale stavano alcune gentildonne romane che, a dispetto della varia fama e delle gravi calunnie, avevano continuato ad esserle amiche. Passaron dunque nella chiesa, e attraversando il coro uscirono sull'altar maggiore. Erasi dato l'ordine di chiudere le porte al popolo, ma il forte e vasto mormorio avvisò che gli ordini non erano stati eseguiti. Quando i due sposi si mostrarono sulla predella, il mormorio crebbe oltre misura. Non potea darsi una coppia di sposi che più di questa potesse eccitare l'attenzione e l'entusiasmo nella moltitudine, tanto amica del grande e dello strano. Il grado, la misteriosa vita, la bellezza unica della signora, promoveva in tutti un immenso interesse. La condizione del Palavicino, l'esser forestiero ed esigliato, la storia di grande avventure, di orrende disgrazie, l'appartenere ad un paese che, per le sue calamit

Quando lucente, e di metal guernito T'avanzerai ne le battaglie orrende Rammenta, Trasideo soverchio ardito, Di chi piangendo i tuoi ritorni attende. parla, e giù dal volto scolorito Calda pioggia di lagrime discende; Ma non scemando in Trasideo l'ardire, Verso le donne amate ei prese a dire: LXI

Questo è il meriggio! Questo è il triste meriggio della mia Povera vita! Io sono solo e piango, Ed amo ancora! Oh!... N'ho provate tante D'amarezze quaggiù!... Negli anni primi Io senza guida rimasi qui in terra; Poscia, orrende compagne, ebbi la fame, E la miseria, e il freddo, e la crudele Compassion dei felici, e l'ironia Dei mille!...

Nelle sembianze del terren natìo V'è un potere indicibil che raccende Ogni ricordo, ogni desir più pio. So che spiagge, quai siansi, inclite rende Più d'un merto söave a chi vi nacque, E bella è patria pur fra balze orrende; Ma nessuna di grazia armonìa tacque, O Saluzzo, in tue rocce e in tue colline, E ne' tuoi campi e in tue purissim'acque.

P orgon l'udita e sentono che Gloria I n excelsis dicean i bianchi spirti; E d avvisati dove 'l Salvatore N asciuto giace, , con allegrezza T osto da noi partiti, s'avventaro I n quella banda che fu lor mostrata. S ol io ritratto in parte for de gli altri S edevami pensar tal novitade, I n fin che, ritornati, cose orrende, M ai non udite piú, d'un fanciullino A noi contaron di stupor insani.

Che terribile creatura era ella dunque? Aveva bisogno di sangue umano per le sue orrende incantagioni? Forse! mi era fuggito. Ma sentivo che mi spingeva furiosamente verso l'abisso, verso la morte. Chi sa di quanti altri disastri era colpevole!.... Ed io non volevo morire! Amarla, possederla volevo, sentirla tremare sotto la forza della mia volont

Ecco, fuggir dal truce Cozzo vegg'io dei sanguinosi acciari Faville che da poi diêr fiamma e luce: Arde una forte e nova Anima i petti; a non segnati mari Gonfia immenso un desio le vele industri; Fervon le menti e le fatiche a prova; A chetar l'ire orrende La libert

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