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Gira rigira, la batteva tra due: il conte Nerazzi e il marchese Landi; ambedue amici suoi, belli senza eccesso, non sciocchi a prima vista, ma neanche spiritosi. Dei immortali! Anche noiosi la parte loro, con quel fare compassato, e con la cura astuta che mettevano a nascondere, facendola spiccar meglio, una piccola vittoria, o a darsi merito di non averne ottenuta mai una. Ma sono questi gli uomini che piacciono. «Ebbene, Landi, qual è oggi la dea dei vostri pensieri? Signora, non c'è dea, per me, e dubito perfino di aver dei pensieri. Ah, molto spiritoso, ed anche discreto; due cose che ordinariamente non vanno molto d'accordo. Ve ne faccio i miei complimenti. E voi, Landi, non amate? No, signora; il mio giorno non è ancora venuto. Come! C'è un giorno ed un'ora da aspettare? , il giorno e l'ora del nostro destino. Se amerò, non amerò leggermente. È giusto e vi lodo. Fossero tutti come voi!» E la dama galante che ha fatta questa scoperta, la mette bravamente in serbo. Avr

Quando si scopre qualche cosa, ci si stropiccia le mani e si ride. Nel caso di Gino Malatesti, la risatina indicava ancora che egli non era solamente felice di avere scoperto un segreto, ma anche perfettamente guarito dell'amor suo per la bionda marchesa. Infine, diss'egli, conchiudendo lo studio, sia Landi, Nerazzi, e magari tutt'e due, che importa a me? Buona fortuna, signori! Capitolo IX.

O il conte Nerazzi, dunque, o il marchese Landi. Qui il nostro Gino Malatesti ricordò in buon punto la prima lettera ricevuta dal suo confidente Giuseppe. «Mi pare (scriveva il buon servitore) che la sua condanna abbia raffreddato molte persone, di quelle che V. S. credeva più amiche, e con le quali andava più spesso. Il conte Nerazzi, per esempio, e il marchese Landi, quando ho dato loro un cenno del suo viaggio, mi hanno risposto con un semplice monosillabo. Sar

Il conte Gino rimase male, dopo quella lettura. Ahimè l'antidoto sperato! Giuseppe, nella sua piccola diplomazia epistolare, lasciava indovinare assai più che non scrivesse. Ci si vedeva, nel suo racconto minuzioso, la gran dama seccata di dover concedere un'udienza all'inviato di Gino; alle cui notizie, poi, dava tanto poca importanza, da andarle a ricevere in piedi, sull'uscio di un'anticamera. La bionda Polissena si era mutata per lui, come il Landi e il Nerazzi, ricordati in buon punto dallo scrivente, per illuminar la figura della signora marchesa. I tiepidi amici facevano più che un riscontro, davano risalto alla freddezza dell'amica. Gi

«Andai verso il tocco (proseguiva lo scrivente) dalla nota persona, cioè quando mi fui accertato che era sola in casa, e domandai di parlarle, perchè avevo da consegnarle un libro. La cameriera mi disse che la signora non riceveva. Io allora diedi il libro, accennando che venivo da accompagnare V. S. e che desideravo anche di portarle i suoi saluti, insieme con una sua lettera, per una certa commissione, che non sapevo qual fosse, ma che credevo importantissima, per il modo con cui mi era stata raccomandata da lei la massima sollecitudine. Con questo mezzo, dopo due andate e ritorni della cameriera, potei essere ammesso alla presenza della signora; anzi fu lei stessa che si degnò di venire in anticamera. Consegnai la lettera, ed ella, dopo aver data una scorsa allo scritto, mi disse: Grazie; sta bene. Domandai se avesse niente da comandarmi, e mi rispose di no. Mi arrischiai a dirle (scusi se in questo ho arbitrato da me) che avrei trovato il modo di far giungere a V. S. lettere, carte ed altro che mi fosse consegnato; ma ella non mostrò di gradire l'offerta. Avrò fatto male, e gliene chiedo scusa, signor padrone; ma la mia intenzione era di far bene per il suo servizio. Ora, se debbo dirle tutto quello che penso, mi pare che la sua condanna al confine abbia raffreddato molte persone, di quelle che V. S. credeva più amiche, o con le quali andava più spesso. Il conte Nerazzi, per esempio, il marchese Landi, quando ho dato loro un cenno del suo viaggio, mi hanno risposto con un semplice monosillabo. Sar

Il conte Nerazzi era un bel giovane; ma, per mentire in qualche modo al suo nome di famiglia, aveva i capegli rossigni. La marchesa Polissena, che li aveva di un bel biondo acceso, poteva amarli rossigni? Le simpatie, ordinariamente, non si formano sulla somiglianza del colore, e meno ancora nel sopraccolore, che rende più intensa una tinta e la esagera. Il marchese Landi era bruno, ed anche leggermente più stupido del Nerazzi: due ragioni forse per piacer di più alla marchesa Polissena. Qui il conte Gino faceva un gran torto a se stesso, poichè egli era piaciuto prima di quell'altro alla dama, e il suo ragionamento gli portava per conseguenza legittima un grado maggiore di stupidit